Pasqua: mons. Massara (Fabriano-Matelica), “comincia dall’offerta della cura e del sollievo a chi si trova nel sepolcro della malattia”

“L’emergenza del Coronavirus ha messo e sta mettendo a dura prova la nostra vita e tutti avvertiamo un senso di smarrimento, di sfiducia e di paura che toglie le prospettive, prosciuga le speranze e appesantisce anche le cose più semplici. Delusi, stanchi, increduli, rischiamo di non avere più la voglia di rimetterci in piedi, di continuare a camminare”. Lo scrive il vescovo di Fabriano-Matelica, mons. Francesco Massara, nel suo messaggio ai fedeli per la Pasqua, ricordando, tuttavia, che “l’atteggiamento delle ‘mirofore’ del Vangelo – quelle donne, cioè, che portano unguenti profumati per la sepoltura – è fonte di fiducia per noi perché di fronte ai dubbi, alla sofferenza, ai turbamenti della situazione che attraversano, esse sono capaci di mettersi in movimento e di non lasciarsi paralizzare dal dramma che stanno vivendo”. “Con l’urgenza di chi ama, esse sono capaci di accettare la vita così come viene senza evadere, né ignorare quello che sta accadendo, senza fuggire né scappare ma, semplicemente, restando”.
Il presule vede, in quella loro tenacia a “non cedere alla rassegnazione della piega che hanno preso gli eventi”, i “primi scintillii di luce della Risurrezione”, che “consiste, fondamentalmente, nel vedere più lontano del qui e ora, in quell’orizzonte del già e non ancora che rende la nostra vita affidabile, degna e vivibile; perché sa che il vero problema non è la morte, ma di come io scelgo di stare difronte ad essa”. Allo stesso modo, mons. Massara indica l’esempio di “molti fratelli che hanno cercato di portare l’unzione della solidarietà per risanare e confortare la vita altrui, mostrando nella via della fraternità, l’unico volto di un futuro possibile”. “La Pasqua inizia così: bisogna andare a vedere quel luogo di morte, bisogna cercare Gesù. Non si può fuggire davanti alla sofferenza e alle ferite dei poveri. Bisogna essere come i medici, gli infermieri e il personale sanitario, le forze di sicurezza e i volontari, i sacerdoti, le religiose, gli educatori e gli insegnanti e tanti altri che hanno avuto il coraggio di offrire tutto ciò che avevano per dare un po’ di cura e sollievo a chi si trova nel sepolcro della malattia”.

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