Mafie: Vallone (Dia), “differenziare gli strumenti ed evitare uso interdittive quando nei confronti di un’impresa c’è solo un sospetto”

Una nuova misura per le interdittive antimafia. Una proposta arriva dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) ancora al vaglio dei suoi uffici legislativi: differenziare gli strumenti ed evitare l’utilizzo delle interdittive antimafia quando nei confronti di un’impresa vi è il “solo” sospetto che sia permeabile alla mafia e procedere con uno strumento più leggero, un controllo che segua l’appalto passo dopo passo senza estromettere l’imprenditore. A spiegare nel dettaglio la proposta è il direttore della Dia, Maurizio Vallone, in una intervista su lavialibera.it, il sito della rivista di Libera e Gruppo Abele.
“Quando la ditta è impastata di mafia e intestata a un prestanome, l’interdittiva, che impedisce all’azienda di lavorare con le Pubbliche amministrazioni (Pa) decretandone quindi la morte, è l’unica soluzione possibile – evidenzia Vallone –. Ma ci sono casi in cui i nostri Gia (i Gruppi interforze antimafia istituiti presso le prefetture, ndr) si trovano in difficoltà perché sanno che un’interdittiva basata sulla mera percezione di contiguità tra impresa e mafia non reggerebbe a un ricorso”. Ricorso che, prosegue il direttore, è quasi automatico e può durare da dieci mesi a due anni, fermando o rallentando i lavori. I casi più scivolosi – racconta Vallone – sono due: aziende con centinaia di dipendenti dove un paio di lavoratori sono parenti di mafiosi oppure piccoli imprenditori vittime di racket che se dovessero vincere un appalto, magari grazie al Recovery plan, attirerebbero ulteriori appetiti criminali. “Come giustificare davanti a un Tar un’interdittiva contro un’intera azienda per la presenza di parenti o contro una vittima di estorsione che lo Stato non è stato in grado di proteggere?”, si chiede il direttore, per il quale occorre “intervenire in maniera diversa, non possiamo permetterci di bloccare tutto nei tribunali perdendo così i fondi europei”.
Nel 2011 il Codice antimafia ha istituito presso il ministero dell’Interno la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (Bdna), entrata in funzione a gennaio 2015. Qui sono raccolti tutti i dati sulle imprese censite, le certificazioni rilasciate e i provvedimenti interdittivi emessi. Nel solo anno della pandemia le interdittive sono cresciute del 38,2 per cento rispetto al 2019.
Tra le proposte di Vallone c’è l’istituzione di un conto corrente ad hoc, controllato da un delegato del prefetto e dove far transitare tutte le entrate e le uscite relative all’appalto: “Così facendo si potrebbe sia preservare l’impresa sia impedire l’utilizzo di fondi in nero, le truffe sui nomi, le collaborazioni con subappaltatori di dubbia provenienza, l’assunzione di persone vicine alla mafia. Si precluderebbe persino la possibilità di pagare tangenti alla Pa”.

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