Ue: vietato usare l’espressione “periodo natalizio”? Interrogazione di alcuni eurodeputati alla Commissione europea

foto SIR/Marco Calvarese

La copertina del documento della Commissione. Sotto, stralci e immagini della pubblicazione

“In un documento interno intitolato ‘#Unione dell’uguaglianza. Linee guida della Commissione europea per una comunicazione inclusiva’, vengono indicati i criteri per la comunicazione esterna ed interna della Commissione europea. Tra le raccomandazioni, si prevede di non utilizzare parole ed espressioni di uso comune”.
È l’incipit di una interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione europea, firmata da Antonio Tajani e altri parlamentari europei del gruppo Ppe. “In particolare, nel documento si invitano i dipendenti della Commissione europea a non riferirsi espressamente al ‘periodo natalizio’ e a non utilizzare solo nomi cristiani come ‘Maria o Giovanni’, perché ritenuti lesivi delle diverse sensibilità religiose”. Sulla base di questo, la Commissione europea viene così interrogata: “ritiene che tali linee guida rispettino l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul principio della libertà di espressione, che include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche? Nel rispetto del principio di inclusività, quali misure intende adottare per rispettare la sensibilità della maggioranza dei dipendenti della Commissione europea? Intende modificare queste linee guida, nel rispetto delle radici cristiane dell’Unione europea?”.
Il documento della Commissione (titolo originale #Union Of Equality. European Commission – Guidelines for Inclusive Communication), introvabile nei siti istituzionali, ci è pervenuto da fonti Ue. Ma la “bufera” sulla Commissione si deve anche a chi ha giustamente sollevato qualche problema di opportunità rispetto al testo destinato a circolare solo negli uffici di Bruxelles.

“L’uguaglianza e la non discriminazione sono valori fondamentali dell’Unione europea”, si legge nell’introduzione al documento, firmata dalla commissaria per le pari opportunità Helena Dalli. “La Commissione europea – afferma Dalli – deve dare l’esempio nella sua ricerca verso un’Unione dell’uguaglianza. Per farlo in modo efficace, dobbiamo offrire una comunicazione inclusiva”. Fin qui l’obiettivo del testo, che rimarca il valore dell’uguaglianza “indipendentemente da sesso, razza o origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale”.
Infatti il testo, di 32 pagine, presenta capitoli dedicati proprio a questi temi. Con intenti condivisibili… salvo qualche scivolone ed eccesso.
In sostanza si indica di non utilizzare espressioni che rimandino al patrimonio religioso e alle festività cristiane (come ad esempio il Natale, che ha un preciso senso e valore per i cristiani, ma ha al contempo assunto un significato più esteso e condiviso nell’opinione pubblica europea, e non solo).
Il testo della Commissione invita a non usare le espressioni Miss o Mrs (signorina e signora), da sostituire con un generico e debole “Ms”.
Tra i suggerimenti, sarà opportuno evitare nomi o pronomi legati al genere del soggetto; si dovrà (giustamente) mantenere un equilibrio tra generi nell’organizzazione dei relatori di meeting e panel; sarà bene evitare i termini ladies o gentleman rivolgendosi a platee di ascoltatori, preferendo un semplice “dear colleagues”. Mai parlare di “anziani”, piuttosto di “persone anziani”, non “disabili” ma “persone con disabilità”.
E così sarà bene evitare (come sottolineava l’interrogazione alla Commissione) nomi come Maria o Giovanni, da sostituire con nomi meno “tipicamente cristiani” quali “Malika e Julio”.
In giornata la Commissione ha voluto precisare che “non si intende vietare l’uso della parola Natale, in quanto celebrare il Natale e usare nomi e simboli cristiani è parte della ricca eredità europea”. Salvo poi puntualizzare che la Commissione è “neutrale” sulle questioni religiose.
Ora, si sa che alcune prese di posizione delle istituzioni europee non sono il frutto di pochi e isolati “eurocrati”, bensì spesso – non sempre – espressione di un sentire diffuso. E in tal senso questo documento chiama in causa una seria e ampia riflessione sul sentire comune in materia di discriminazioni, di attenzione e rispetto delle differenze, di sensibilità religiosa e secolarizzazione. D’altro canto è pur vero che alcuni punti fermi dell’identità storica e culturale dell’Europa (comprendente, a pieno titolo, la fede cristiana) non dovrebbero – non possono! – essere cancellati da un documento interno all’esecutivo Ue.

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