Messe con il popolo: mons. Giudice (Nocera-Sarno), “ricominciare, riprendere, ricucire, rammendare, setacciare, scegliere”

“Un ‘nuovo inizio’”: così il vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, mons. Giuseppe Giudice, definisce “questa fase tanto delicata che ci permetterà, dal 18 maggio in modo graduale e osservando i protocolli, di riprendere a celebrare la nostra fede con il popolo”. Ed è anche il titolo della decima nota che il presule rivolge alla diocesi in tempo di emergenza da Covid-19, nella quale sono offerte le indicazioni concrete sulla ripresa delle celebrazioni.
“‘Sine dominico non possumus’ hanno ripetuto in tanti in questo tempo; ma come vescovo è mio dovere ricordare che il dominico non è solo la recezione del sacramento, ma l’accoglienza del Dominus, il Signore, in tutte le sue sfaccettature, secondo la bella lezione del Concilio e la Tradizione della Chiesa. Ribadisco questo concetto, se ancora ce ne fosse bisogno, per dire che la sospensione delle celebrazioni con il popolo è stato un atto di carità spirituale e non una resa o una cieca obbedienza, ma la prudente e libera condivisione di un percorso in comunione con le Istituzioni. Carità dettata solo dall’attenzione a salvaguardare la salute della nostra gente”, spiega mons. Giudice.
Il “nuovo inizio” sarà “a piccoli passi, con fiducia, prudenza e grande senso di responsabilità”: “In questo primo passo ci concentreremo sulla ripresa delle celebrazioni con il popolo, con grande attenzione al protocollo preparato in comunione tra Governo e Cei”.
Invitando a evitare due “eccessi” – la “spavalderia di chi vuol riprendere come se nulla fosse accaduto” e la “pigrizia” di “chi vuole continuare con la sindrome della tana” – il vescovo individua “i verbi del nostro nuovo vocabolario, usando sempre i fili indistruttibili ed invisibili della fede, della speranza e della carità”: “Ricominciare, riprendere, ricucire, rammendare, setacciare, scegliere”.
Insieme, precisa, “ci sforzeremo di dare una nuova forma alla società e alla Chiesa con i tratti dell’essenzialità e della sobrietà”, nella consapevolezza che “una nuova forma richiede una formazione nuova, capace di strutturare l’umano secondo il progetto di Dio e attingendo, a larghe mani, alle nostre fonti e alla testimonianza dei nostri santi, sugli altari e della porta accanto”.

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