Colombia: padre De Roux su attacchi a Commissione Verità e gesuiti, “sappiamo di essere segno di contraddizione, continueremo a lavorare per la pace”

(Foto: Commissione della Verità)

“Padre Javier Giraldo e io non siamo marxisti, siamo persone dedite a lavorare per la pace e la riconciliazione. Sappiamo che siamo segni di contraddizione perché dove ci sono state tante ingiustizie e più di 10 milioni di vittime, c’è molta paura della verità. Ma continueremo a lavorare fino alla fine”. Il gesuita Francisco De Roux, presidente della Commissione della Verità in Colombia, affida al Sir questa risposta, di fronte agli attacchi che sta subendo in questi giorni di grande tensione, nell’imminenza del primo turno delle presidenziali (29 maggio) e della presentazione, entro giugno, del rapporto sulle vittime che la Commissione è chiamata a stilare. Attacchi che coinvolgono un altro gesuita molto conosciuto nel Paese, padre Javier Giraldo.
“Invece che affrontare il tema della totale assenza dello Stato negli 11 dipartimenti dove i paramilitari del Clan del Golfo hanno proclamato lo ‘sciopero armato’ – afferma da Bogotá Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani -, il presidente Duque e l’establishment preferiscono accanirsi sul presidente della Commissione della Verità, poiché l’unico membro che rappresentava i militari all’intero dell’organismo, il maggiore Carlos Guillermo Ospina, si è ritirato denunciando l’orientamento a sinistra della Commissione. Addirittura, nel quotidiano El Tiempo di domenica scorsa, la nota giornalista Maria Isabel Rueda definisce il gesuita De Roux ‘un santo delle sinistre, che possiede un carattere non belligerante, ma comunque ideologizzato’, mentre la senatrice Fernanda Cabal, vicina all’ex presidente Uribe, ha accusato il gesuita di marxismo”.
Di fronte alle accuse e alle dimissioni di Ospina, padre De Roux aggiunge: “La maggior parte delle persone morte in guerra erano persone povere. Contadini, indigeni, afro, donne del Paese. Simbolicamente, comunicativamente, pedagogicamente, politicamente, questa società è ancora in guerra. Quell’effetto simbolico si trasferisce negli omicidi ai territori. La Colombia deve uscire da lì e, in caso contrario, difficilmente potremmo parlare di cosa costruiremo insieme, nella differenza. È brutale che ci uccidiamo perché continuiamo a pensare in modo diverso”.
Tutto ciò accade, prosegue Morsolin mentre il Clan del Golfo, in alleanza di narcobusiness con ‘ndrangheta calabrese e cartelli messicani, sta impedendo la libera circolazione delle persone per il potere delle mafie globali, arrabbiate per l’estradizione negli States del boss Otoniel, capo dell’organizzazione paramilitare, arrestato lo scorso anno. Il avrebbe boss cominciato a svelare segreti inquietanti sui legami del narcotraffico con politici, imprenditori, esponenti dell’esercito”. Anche il quotidiano El Espectador, in un editoriale di ieri sullo “sciopero armato” afferma che esso è “la prova materiale dell’assenza dello Stato”.

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