Ordinariato militare: il saluto del nuovo arcivescovo, mons. Saba. “Essere una presenza di ascolto, che disarma pensieri, parole e gesti, per non cadere nel mito della forza”

Mons. Saba, Ordinario militare per l'Italia

“Promuovere una Chiesa ospedale da campo, inclusiva, aperta a tutti e missionaria, per realizzare”, come ricorda Papa Francesco nella Fratelli Tutti (6), “un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle sole parole”. È quanto scrive il nuovo arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Gian Franco Saba, nominato dal Pontefice dalla diocesi di Sassari. Nel suo messaggio di saluto alla Chiesa Ordinariato militare, mons. Saba ringrazia il suo predecessore, mons. Santo Marcianò, e saluta i cappellani militari, il cui ministero, “spesso esercitato in situazioni complesse e lontane dalle ordinarie strutture ecclesiali, è segno concreto della maternità della Chiesa. A partire dall’Eucaristia, siete presenza viva accanto a quanti sono chiamati a servire con fedeltà e sacrificio”. Un ricordo particolare è per i giovani, per coloro che soffrono e per i militari e le loro famiglie cui va la gratitudine “per il servizio che svolgete con impegno, disciplina e senso del dovere, spesso in condizioni difficili e lontano da casa. Grazie per la dedizione ai valori profondi della solidarietà, del bene comune e l’amore per la pace. Il vostro è un cammino fatto di sacrificio, ma anche di valori profondi come la solidarietà, la lealtà e l’amore per la pace”. Riferendosi poi a S. Agostino, dal quale mons. Saba ha tratto il suo motto episcopale, “Dilectione amplectere Deum” (Abbraccia Dio con amore), il nuovo arcivescovo castrense propone tre parole per descrivere “il processo pastorale che ci attende: il campo, la tenda, il cammino”. La Chiesa Ordinariato Militare d’Italia, spiega, “incarna in modo peculiare la dimensione itinerante della fede, si muove con gli uomini e le donne che serve. Il suo territorio è mobile, spesso segnato da contesti di precarietà, di frontiera, di servizio e di rischio. La Chiesa della vicinanza annuncia Cristo camminando accanto, accettando di condividere le stesse tende, gli stessi campi, gli stessi passi. Il campo, nella tradizione biblica, è spazio di lavoro e di attesa, di semina e di raccolto, ma anche luogo di incontro, di discernimento e di battaglia spirituale”. La tenda è “simbolo dinamico della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, segno tangibile di una vicinanza che accompagna il cammino, senza mai imporsi, ma che abita e custodisce. La Chiesa stessa, in questo tempo sinodale, è chiamata a riscoprirsi come tenda di Dio: non una fortezza chiusa, ma uno spazio aperto, accogliente, capace di adattarsi alle strade del mondo e di piantarsi ovunque ci sia bisogno di consolazione, giustizia e speranza”. Infine, il cammino: “Non siamo mai pienamente ‘a casa’ nel mondo: siamo pellegrini, ospiti, stranieri in cammino, con lo sguardo orientato verso una patria che ancora non si vede, ma che già abita il nostro cuore”. In questa visione, per mons. Saba, “la vita della Chiesa non si chiude su se stessa, ma abita lo spazio pubblico in modo dialogante e propositivo, disposta ad ascoltare e ad apprendere, attenta a proporre un umanesimo ispirato al mistero di Cristo”. Da qui l’impegno del nuovo arcivescovo di “dialogare con tutti e tutte: penso a ciascuno, anche a coloro che ancora non conosco, come volti eloquenti di bellezza, qualunque sia il vostro credo o professione di fede, l’origine sociale o politica, la condizione umana o spirituale. Lasciandoci ispirare dal magistero di Papa Francesco – conclude – cammineremo per essere una presenza di ascolto, che disarma pensieri, parole e gesti, per non cadere nel mito della forza”.

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