“A volte non riusciamo a dare dignità culturale alle nostre belle esperienze mentre ci vogliono ponti fra cultura accademica ed esperienze di base”. Così monsignor Erio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, durante la giornata di studio “Fare cultura e riformare le strutture, due compiti della Chiesa sinodale”, promosso dall’Istituto pastorale Redemptor Hominis, oggi a Roma. “Spesso – spiega – nel dibattito culturale, c’è chi difende l’individuo e chi la società, dimenticando che l’essere umano è tutt’uno, cioè, una persona relazionale. Noi che sosteniamo la vita dal concepimento alla morte naturale, siamo più incisivi, non se ci mettiamo a discutere, bensì, se impastiamo le nostre ragioni con le esperienze vissute di vita nascente. E anche quando facciamo l’esperienza dei migranti o della cura del creato, non possiamo solo affermare dei principi perché i principi vanno impastati con esempi di accoglienza”. “La dimensione culturale – prosegue – è essenziale perché non è solo testimonianza. Ci vuole una profezia di tutta la Chiesa e di tutte le persone di buona volontà. Oggi, in Italia e non solo, c’è una buona predisposizione a tutto questo, con una disponibilità al dialogo che non era comune nelle culture di trenta anni fa quando c’erano muri ideologici”. Riguardo all’esperienza sinodale, monsignor Castellucci aggiunge: “gli incontri sinodali con le più svariate persone hanno registrato consensi unanimi e richieste di fissare la metodologia come permanente. Le domande venivano all’interno del dialogo, con una postura umile, frutto di un interesse attivo”. E in conclusione auspica di “trovare obiettivi comuni, in cui in diversi si converga” anche nelle diocesi.