Diocesi: mons. Lorefice (Palermo), “allargare lo sguardo per scoprire le bellezze invisibili”

“Allargare lo sguardo sulla grandezza della nostra città, guardarla a lungo, potrà farci scoprire, oltre alle bellezze visibili che incantano, anche le bellezze invisibili, sofferte e germinali nascoste nelle periferie sociali e anche nelle periferie del male”. Lo ha detto, ieri sera, mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, nel discorso alla città, pronunciato in occasione del Festino di Santa Rosalia, sul sagrato della cattedrale. “Oggi si soffre nella povertà economica, si soffre e si fanno soffrire gli altri nella povertà di valori relazionali. Siamo chiamati a salire in alto per capire che dobbiamo costruire una città sempre più bella. Che la bellezza dell’arte e della cultura diventi anche bellezza della dignità, della responsabilità, del prendersi cura, del sacramento dell’amicizia!”, l’auspicio del presule, che ha invitato ad andare “in alto, per sognare una Palermo sempre più bella in ogni uomo, in ogni donna, in ogni famiglia, in ogni quartiere, in ogni progetto. In alto, per non farci travolgere dalla rassegnazione, dallo squallore, dall’egocentrismo, dalla sfiducia. In alto, per progettare orizzonti nuovi, orizzonti che si trovano dentro il quotidiano, dentro la storia che viviamo, orizzonti che bisogna scorgere dal basso e dal basso far riemergere. In alto, non per raggiungere un punto di arrivo ma per saper poi tornare a casa, nella città, con gli occhi di chi ha intravisto dentro le piaghe e dentro le sofferenze le strade per creare qualcosa di nuovo, per compiere azioni capaci di costruire una nuova civiltà dell’amicizia: consapevoli che ogni gesto, anche il più piccolo, o aggrava i problemi o è un passo verso la loro risoluzione. In alto, per essere degni della nativa vocazione di questa Città: all’accoglienza e alla condivisione della meravigliosa ricchezza di calore umano, di cultura, di arte e di natura che la rende unica e attrattiva”.
Ricordando che “nessuno è una monade” ma “siamo intercorressi”, l’arcivescovo ha evidenziato: “La Chiesa chiama questa rete comunione”. E “la pandemia ci ha ricordato che viviamo tutti nella stessa casa”, “nessuno può sottrarsi dalla relazione nella quale è inserito. È dentro queste relazioni che dobbiamo guardare al presente per preparare il futuro”, che “riguarda i figli dei nostri figli, quelli che si stanno preparando a venire in questa nostra madre Terra: che non la trovino distrutta, che non la trovino depredata, che non la trovino infuocata. Che sia una casa confortevole, piena di vita e di relazioni!”.

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