Pastorale della salute: Damini (osp. S. Camillo-Cremona), “in cure palliative il malato si deve sentire amato, preso in carico, accompagnato”

Nelle cure palliative “la scienza, da sola, non è in grado di risolvere tutta la sofferenza umana: bisogna entrare nella dimensione più completa, fatta anche di fiducia, di affidamento e di presa in carico. Il nostro ruolo è anche quello di ricostruire la speranza attraverso una presenza, un incontro che permetta di superare le paure”. Lo ha detto Massimo Damini, responsabile medico palliativista Casa di Cura San Camillo di Cremona, intervenuto al XXII Convegno nazionale dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei “Gustare la vita, curare le relazioni” (3-13 maggio). Parlando durante la sessione di questa mattina, “Le cure palliative: tra consapevolezza e speranza”, a cura del Tavolo hospice dell’Ufficio Cei, Damini ha spiegato che “il tempo trascorso con il malato è tempo di cura e quindi occorre esserci con tutti noi stessi: con professionalità e umanità che aprono alla fiducia, all’affidamento, alla serenità di essere accompagnati. La persona che si sente amata sperimenta la presenza viva e misteriosa di Dio al suo fianco”. Fondamentale un’équipe “strutturata, stabile, formata, motivata, caratterizzata dalla condivisione degli stessi valori”.
Di “tempo soggettivo” che può regalare “l’esperienza dell’eternità dell’attimo” ha parlato la filosofa e bioeticista Marina Sozzi. “Il lascito emotivo-affettivo emotivo – ha sottolineato – è la cosa più importante per chi sta per lasciare la vita ed è ciò che nutre la speranza e valorizza il tempo che resta. Questo è l’obiettivo che bisogna darsi delle cure palliative ma deve essere un obiettivo esteso alla medicina tutta intera”.
Toccante la testimonianza audio di due genitori che cinque mesi fa hanno perso il figlio Matteo, stroncato da una gravissima malattia. “Abbiamo iniziato con diffidenza il percorso di delle cure palliative – ha raccontato la mamma – ma con molta meraviglia abbiamo capito che era l’unico mezzo con il quale intraprendere l’ultimo viaggio con Matteo. Vederlo meno sofferente, poterlo coccolare, vederlo anche a volte sorridere: questo ha attutito molto il nostro dolore e alleggerito le nostre paure”. “La presenza dei dottori – ha aggiunto – è andata bene oltre la loro professionalità. Grazie a loro mio figlio se ne è andato con dignità e con tutte le dovute attenzioni”.

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