Iraq: card. Sako (patriarca), verso il voto “cristiani siano compagine unita nei discorsi e nelle posizioni”

La presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente e la loro sopravvivenza nelle terre della prima predicazione apostolica chiamano in causa “prima di tutto” le responsabilità degli stessi cristiani mediorientali, chiamati anche a “ammettere i propri errori” a liberarsi da una perdurante “mentalità settaria” per costruire insieme ai loro concittadini istituzioni civili consone a garantire la convivenza tra diversi. Così il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, sul sito del Patriarcato caldeo, riflette sulla presenza dei cristiani mediorientali. Un tema ancora più di attualità alla luce delle imminenti elezioni irachene di domenica 10 ottobre e che pone la annosa domanda: “C’è un futuro per i cristiani dell’Iraq e della regione?”. Le considerazioni del patriarca, riprese da Fides, riflettono quelle contenute nel documento “Noi scegliamo la vita”, sulla condizione e le prospettive future della presenza cristiana in Medio Oriente, curato dall’equipe ecumenica di teologi e studiosi Nakhtar al Hayat. Anche il patriarca Sako invita i cristiani mediorientali a affrancarsi da un certo “complesso di minoranza” che porta alcuni a attendere la soluzione dei problemi da parte di entità politiche e geopolitiche esterne, o magari dalle stesse istituzioni ecclesiali. Il patriarca invita a prendere le distanze da battezzati che delegano a istituzioni civili o organismi ecclesiastici il compito di liberarli da difficoltà e apprensioni che segnano il loro vissuto quotidiano. Nel suo testo Mar Sako ripassa la storia recente irachena, dalle violenze scoppiate nel 2003, dopo l’abbattimento del regime di Saddam Hussein, che spinsero oltre un milione di cristiani iracheni a emigrare, al dilagare di correnti islamiste estremiste e di una “cultura settaria”. Nel contempo, il patriarca caldeo invita anche a riconoscere responsabilità e errori compiuti dai cristiani, compresi quelli di ordine socio-politico. Da qui l’invito ai cristiani di abbandonare forme di settarismo che li spingono anche a dividersi tra loro, per provare ad abbracciarsi “come una compagine unita nei discorsi e nelle posizioni”, disposta a collaborare con i concittadini di fede islamica per costruire insieme istituzioni civili fondate sul principio di cittadinanza e di giustizia.

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