Donne: Spini al Sae, “fondamentale guardare al problema della giustizia di genere intersecandola a razza, cultura, classe”

(Foto: Laura Caffagnini per il Sae)

Un’analisi del tempo presente, un tempo di cambiamento, è stata al centro del primo panel della sessione di formazione ecumenica del Sae (Segretariato attività ecumeniche) in corso, da ieri, a Santa Maria degli Angeli, ad Assisi. Debora Spini, docente di Filosofia politica e sociale alla New York University di Firenze e alla Syracuse University di Firenze, ha tratteggiato attraverso i numeri la situazione delle donne in Italia. Il quadro offerto non è rassicurante: rispetto all’occupazione femminile le donne italiane arrancano rispetto alla media europea. Rispetto alla natalità, i nati sono scesi sotto la soglia delle 400mila unità. Sempre in Italia sono stati già 14 i femminicidi nei primi mesi del 2023, sono stati 70 nel 2022 e 55 nel 2021. Il 31,15% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito qualche forma di violenza fisica e sessuale. Un’altra forma di violenza è la tratta di esseri umani per fini sessuali. “Se c’è un’offerta di donne è perché c’è una domanda di schiavitù. In Italia l’offerta è più forte perché è più forte la domanda”, ha evidenziato Spini. A livello mondiale il global gender gap pubblicato dal World economic forum è 68,4%, un divario ancora grande. La studiosa ha poi ripercorso le fasi dei femminismi che hanno portato avanti la lotta per la giustizia di genere, a partire dal femminismo egualitario incarnato dalle suffragette americane che chiedevano il diritto di voto. La seconda ondata, localizzata negli anni attorno al ’68, “ha portato all’attenzione come temi politici quelli che avevano fatto parte della vita privata”. Negli anni ’80 un terzo passaggio con il femminismo della differenza con i testi di Luce Irigaray. Il corpo non è un incidente ma si deve pensare a partire dal corpo. Quella dei femminismi è un’evoluzione continua.
Oggi, secondo la filosofa, per i femminismi ci sono due sfide molto importanti: “Per il femminismo egualitario la tentazione di essere arruolato dal capitalismo nella difesa di un modello di soggetto competitivo. Qui il femminismo perde la carica di critica alla realtà. È un’astuzia del capitalismo volgere a proprio vantaggio temi del femminismo egualitario. Un altro aspetto critico è il rischio dell’arruolamento del femminismo nel neoautoritarismo. Il numero delle democrazie sta diminuendo vertiginosamente e nelle democrazie c’è un abbassamento delle qualità democratiche”. Spini ha citato la studiosa inglese Sara Farris che ha coniato il termine di “femonazionalismo: indica il gioco dei movimenti neoautoritari e più in generale del populismo di destra etnocentrico che razzializza la libertà femminile”. Secondo questa ideologia “la libertà femminile identificata con una certa gestione del corpo è un patrimonio esclusivo delle culture occidentali che va difeso contro gli altri che vogliono sottrarci le nostre conquiste”.
Quindi è fondamentale, ha concluso Spini, “tener conto che quando si parla di femminismo occorre ricorrere a una parola fondamentale: intersezionalità”, intendendo che “è fondamentale guardare al problema della giustizia di genere intersecandola a un prisma con altri piani: razza, cultura, classe”.

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