Caritas: Matarazzo (Facoltà Teologica Italia meridionale), “il paradigma delle periferie deve aiutare l’azione caritatevole ed umanitaria delle comunità ecclesiali”

Carmine Matarazzo - foto F.Carloni/Caritas italiana

(da Salerno) – “Oggi più che mai serve un cambio di paradigma, una ‘conversione sistemica’: le periferie come centro” per “progettare interventi di recupero delle persone dall’indigenza” e “offrire un giusto sostegno e accompagnamento nella risoluzione delle criticità esistenziali di ordine materiale, spirituale, logistico, lavorativo, familiare”. Lo ha detto oggi a Salerno Carmine Matarazzo, ordinario di Teologia pastorale alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, nella sua relazione al 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso dal 17 al 20 aprile a Salerno. “I poveri e la povertà nell’ottica di Gesù sono da preferire a qualsiasi bramosia di possesso e potere – ha proseguito -. L’indigenza invece va combattuta perché spesso è frutto proprio di una ricchezza incontrollata e di ricchi smodati, i quali trovano nelle periferie ulteriori motivi per accrescere i loro profitti a scapito di chi ha bisogno di lavoro e di vivere la quotidianità esistenziale con dignità, provvedendo anche ai propri familiari”. Ma “ricchezza e povertà non sono in conflitto tra loro se non perché il possesso e l’ingordigia dei ricchi sono diametralmente opposte alla libertà e alla leggerezza dei poveri, quelli che vivono per le strade delle nostre città, oppure sono confinati nei sobborghi o sono isolate in periferie geografiche e/o vittime di chiusure esistenziali”.
“Il paradigma delle periferie – ha sottolineato – non deve correre il rischio di promuovere slogan, piuttosto deve aiutare l’azione caritatevole ed umanitaria delle comunità ecclesiali ad ascoltare meglio e con più competenze le istanze umane presenti nei territori e quartieri urbanizzati o meno”. “La Chiesa non si abbassa verso i poveri, ma sono i poveri ad innalzare la Chiesa alla sua vera missione”, ha precisato, per “raggiungere scopi più grandi come quello di portare il ben-essere a tutte quelle persone in una situazione di mal-essere”. A questo proposito l’urgenza “non procrastinabile” è “leggere le periferie con le diverse e variegate caratteristiche e istanze urbanistiche, culturali, socio ambientali, ma anche religiose (si pensi dal fronte cattolico alla presenza sempre più capillare di movimenti religiosi alternativi, come i Testimoni di Geova, oppure alla presenza sempre più capillare di confessioni protestanti)”. Se le periferie “hanno a che fare con drammi umani, anch’essi emarginati dall’attenzione dei centri urbani” mentre le città puntano tutto sul “consolidamento delle relazioni, dei muti servizi, di alte professionalità a servizio di diversi e svariati bisogni e richieste” è allora necessario “ripensare il concetto stesso di territorio, sia dal punto di vista geografico sia da quello più strettamente pastorale-canonistico, puntando sull’analisi delle dinamiche relazionali che si istaurano su una determinata area geografica, dove il concetto di ‘abitare’ diventa sinonimo di relazione”.

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