Cristiani perseguitati: mons. Dabiré (Burkina Faso) a Acs, “50% del Paese occupato dai gruppi terroristici”

“Il 50% del Burkina Faso è occupato e controllato dai gruppi terroristici. Se alcuni di questi hanno dichiarato esplicitamente le loro intenzioni, con altri sono sufficienti le loro denominazioni, come il Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani (Jnim), per comprendere che mirano chiaramente a imporre l’Islam a tutto il Paese, anche attraverso l’uso del terrorismo”. È il grido di allarme di mons. Laurent Dabiré, vescovo di Dori e presidente della Conferenza episcopale del Burkina Faso e del Niger, lanciato attraverso Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). Dal 2015 il terrorismo ha fatto registrare un aumento senza precedenti, il 2023 si è aperto sotto i peggiori auspici con l’assassinio di un sacerdote il 2 gennaio scorso nel nord-ovest del Paese. L’avanzata dei gruppi terroristici, dice il vescovo di Dori, “implica la soppressione della società attuale, multireligiosa, caratterizzata dal dialogo e dalla convivenza. I terroristi vogliono sradicare questa società libera e tutti coloro che non professano il loro stesso tipo di Islam, inclusi i musulmani, il che significa che il terrorismo è ora rivolto alla società nel suo insieme”. Il fenomeno terroristico, come riporta Acs, ha un impatto drammatico sulla vita della Chiesa. “Le conseguenze di questa ondata di violenza feroce negli ultimi sette anni sono state terribili. Da un punto di vista pastorale – rimarca mons. Dabiré – non possiamo più spostarci come prima. Il nostro raggio d’azione è molto più ridotto, perché i terroristi occupano i due terzi del territorio del Sahel. Rimangono praticamente solo i capoluoghi di provincia. La diocesi di Dori ha sei parrocchie, tre sono state chiuse, e siamo stati vicini a chiuderne un’altra quest’estate”, mentre una quinta è tuttora “bloccata”. La chiusura viene decisa quando, a causa della presenza di terroristi, “sono gli stessi parrocchiani a chiedere che i loro sacerdoti siano inviati in un luogo sicuro. In alcuni luoghi non c’è cibo e le comunicazioni sono interrotte, riusciamo a far passare alcuni messaggi solo grazie a poche organizzazioni delle Nazioni Unite che hanno i mezzi per trasmetterli”, come le radio. È stata organizzata una pastorale per gli sfollati interni, che ad oggi sono due milioni. “Occasionalmente siamo riusciti a portare cibo e rifornimenti in zone isolate grazie ai convogli militari. Ci adattiamo alla situazione nel miglior modo possibile”, conclude il presule.

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