Diocesi: mons. Delpini (Milano), “chi ha responsabilità politiche ha bisogno di speranza e realismo”. “Gratitudine per il servizio reso alle comunità”

“Mi sembra che coloro che hanno responsabilità per il bene comune coltivino quel realismo della speranza che incoraggia ogni giorno a fare il proprio dovere, a pensare, a dialogare, a decidere, a interrogarsi sulle vie da percorrere. Chi ha responsabilità ha bisogno, più che del volontarismo, della speranza e del realismo per prendersi cura dell’insieme della comunità, della città, del proprio ambito”. Così l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, nel “Discorso alla città” che ha rivolto durante i Vespri alla vigilia della festa per il patrono sant’Ambrogio.
L’arcivescovo ha voluto “esprimere la gratitudine per il servizio reso alla città e a tutti i comuni della diocesi dai sindaci e da tutti coloro che collaborano per l’Amministrazione comunale, dagli operatori della sanità e dell’educazione, dalle Forze dell’ordine, dai magistrati, dalle autorità provinciali e regionali”. Delpini ha poi osservato come “tutti coloro che hanno responsabilità vivano quell’inquietudine provocata dall’interrogativo: e gli altri?”. Per questo “c’è bisogno del realismo della speranza: chi ha responsabilità, infatti, deve guardare lontano. La popolarità o l’interesse, il prestigio o il vantaggio personale sono guadagni troppo meschini e troppo improbabili per motivare un impegno quotidiano spesso logorante e poco confortato da risultati”. “Si deve affermare che la cura per il bene comune, oltre il proprio interesse o l’interesse del proprio partito, l’impegno che trova motivazione nell’inquietudine e nel realismo della speranza si chiamano ‘politica’”, ha proseguito l’arcivescovo che ha voluto “fare l’elogio della politica, di questa politica”. Quella “che si esprime nella democrazia rappresentativa” che “chiede che ci sia un impegno condiviso per contestare e correggere la sfiducia che è presente in chi non vuole essere coinvolto, si chiude nel proprio punto di vista e non si interessa degli altri, pretende che siano soddisfatti i propri bisogni ma non si cura del bene dell’insieme”. Da qui “l’elogio della partecipazione che non si accontenta di esprimere il voto per il proprio partito e il proprio candidato, ma che discute, ascolta, offre le proprie idee, pretende supporto per le forme di aggregazione e di presenza costruttiva nel sociale per prendersi cura degli altri, soprattutto di quelli che non contano, non parlano, non votano”.

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