Coronavirus in Sierra Leone: mons. Paganelli (amm. apostolico Makeni), “qui uccidono più le altre malattie”

In Sierra Leone, che negli ultimi anni ha visto morire 5000 persone a causa dell’Ebola, “uccidono più le altre malattie che il Covid-19”. Lo ha detto oggi mons. Natale Paganelli, amministratore apostolico di Makeni in Sierra Leone, nel suo intervento al webinar organizzato da Caritas italiana. Nel Paese africano sono stati registrati da inizio epidemia 1.572 positivi e 63 morti. “Io vivo in una zona rurale e onestamente non ho visto molti ammalati – ha detto –. Quei pochi che ho visto, tra cui due sacerdoti, erano asintomatici. La gente dubita della pandemia perché era abituata a vedere le persone morire per l’Ebola. Hanno abbandonato gli ospedali e vanno dai medici nativi a farsi curare”. Più evidenti in Sierra Leone sono però le conseguenze economiche: le miniere sono ancora chiuse, c’è stato un impatto sul commercio informale a causa del lockdown e del coprifuoco. “La situazione di miseria è talmente aumentata che come Caritas abbiamo dovuto iniziare a distribuire cibo – ha spiegato mons. Paganelli – e chiedere aiuto a Caritas italiana e Cei. Ora le misure restrittive si stanno riducendo ma tra due mesi vedremo gli effetti sull’economia”. Secondo l’amministratore apostolico di Makeni “conviene mantenere l’economia africana povera e dipendente dagli aiuti dell’estero per poter controllare loro ricchezza: la Sierra Leone ha grandi ricchezze di minerali ma più del 70% della popolazione è in povertà”. Il Covid-19 è anche “occasione per avere risorse a beneficio personale, per cui bisogna vigilare” e “bloccare il grande virus della corruzione”: “Un intervento internazionale utile dovrebbe creare una buona classe dirigente per il Paese – ha affermato –. Invece c’è chi vuole la corruzione perché così si controllano i minerali. I Paesi industrializzati vengono qui a rubare. Purtroppo c’è chi vuole l’Africa povera”. In compenso mons. Paganelli registra “una grande solidarietà tra la popolazione, ad esempio le persone che andavano a lavorare nei campi di chi stava in quarantena”.

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