Libia: Msf, giovane eritreo morto in incendio nel centro di detenzione di Dhar el Jebel a sud di Tripoli

Un uomo eritreo di 26 anni è morto in un incendio divampato nel centro di detenzione di Dhar el Jebel, a sud di Tripoli, nella notte tra sabato 29 febbraio e domenica 1° marzo. L’uomo è stato avvolto dalle fiamme mentre dormiva in una delle celle sovraffollate del centro, dove oltre 500 rifugiati e migranti sono detenuti arbitrariamente nella regione montuosa del Gebel Nefusa. Lo staff di Medici senza frontiere (Msf) sta supportando i sopravvissuti offrendo assistenza psicologica e distribuendo beni di prima necessità. L’incendio ha distrutto un edificio in cui erano ammassate 50 persone e ne ha danneggiato parzialmente un secondo. “Il nostro psicologo riferisce di un livello di disperazione molto elevato. Le persone sono sotto shock, paralizzate da traumi di cui non vedono la fine. Ci dicono di sentirsi soli e indifesi, dopo mesi o addirittura anni in detenzione. La loro unica speranza è di vedere accolte le loro richieste di asilo. Devono uscire da qui”, dichiara Christine Nivet, coordinatrice di Msf nel Gebel Nefusa. Attualmente la maggior parte delle persone detenute nel centro di detenzione di Dhar el Jebel sono richiedenti asilo, eritrei e somali, già registrati dall’Unhcr. Dopo gli scontri tra milizie scoppiati nella capitale libica nell’agosto 2018, molti sono stati trasferiti dai centri di Tripoli a quelli nel Gebel Nefusa, più lontani dalla linea del fronte ma remoti e isolati, in condizioni disperate e praticamente senza assistenza. Le équipe di Msf che per prime hanno visitato il centro di Dhar el Jebel a maggio 2019 avevano riscontrato una situazione medica catastrofica. Dopo un’epidemia di tubercolosi durata mesi, almeno 22 migranti e rifugiati sono morti per questa e altre malattie, tra settembre 2018 e maggio 2019. Sono almeno 2.000 i migranti e rifugiati in Libia ancora rinchiusi nei centri di detenzione, esposti ad abusi e condizioni pericolose. Msf chiede “la fine della detenzione arbitraria di migranti e rifugiati”, di “organizzare la loro evacuazione” e allestire “con urgenza meccanismi di protezione che includano ripari per i più vulnerabili. Questo può funzionare solo se l’Europa smette di respingere le persone che fuggono via mare e se i Paesi sicuri si impegnano ad accogliere un maggior numero di sopravvissuti”.

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