Card. Zuppi: “prete non è figura del passato, è l’uomo del futuro”, “presiedere non significa comandare”

(da Assisi) “I preti italiani, nel complesso, hanno mostrato una dedizione di fronte ai cambiamenti e alle nuove sfide: hanno saputo uscire dalle istituzioni, come ci ha chiesto Papa Francesco, ma anche prendersene cura con i mutamenti necessari”. E’ il bilancio e nello stesso tempo l’omaggio del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ai sacerdoti italiani, oggetto di uno dei temi principali dell’Assemblea straordinaria che si è aperta oggi ad Assisi: la “Ratio” dei Seminari, cioè la formazione dei futuri preti. “Il diminuito numero dei preti può indurre a pensare in maniera pessimistica che il prete sia una figura del passato. Non è così! La figura e il ministero del prete sono decisivi nella Chiesa di oggi e nella Chiesa del futuro”, la tesi di Zuppi nella sua introduzione ai lavori: “Il popolo cristiano lo sa e ci tiene ai suoi preti e li cerca, come constato tante volte. Il prete è l’uomo del futuro, ispirato dal Vangelo e dal modello di Gesù: vive per gli altri, per la sua comunità, per i poveri, ma anche per coloro che sono lontani ed estranei al suo ambiente”. “In una Chiesa-comunione che sa promuovere tutte le vocazioni, presiedere non significa comandare”, il riferimento alla sinodalità: “Il prete è decisivo in una Chiesa di popolo, che parli alla gente del Vangelo di Gesù e che sia fermento nella storia del nostro Paese”. “C’è santità tra i preti italiani”, l’omaggio di Zuppi, che ha citato i “martiri recenti nel clero italiano la cui santità è riconosciuta, come don Pino Puglisi o don Giovanni Fornasini, ucciso nel 1944, nella mia diocesi, dai nazisti”. “La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri”, come ha ricordato il Papa: “Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: ‘Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro’. Ecco perché la Chiesa tutta sceglie di vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto”.

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