Ucraina: Univ. Cattolica Cremona, per 3 italiani su 4 caro energia e carburanti è causato da guerra. L’81% chiede di investire in rinnovabili

Tre italiani su quattro pensano che la guerra tra Russia e Ucraina stia determinando l’aumento dei prezzi delle fonti energetiche, in Italia sotto gli occhi di tutti. Mentre gli esperti spiegano che questa gravissima crisi internazionale sta certamente aggravando dinamiche in realtà già in atto e dovute anche ad altre cause, il 76% degli italiani, per quanto riguarda il gas e il 74%, per quanto riguarda il carburante, ne attribuisce i rincari esclusivamente alla guerra. Ciò dà il segno di una preoccupazione per il perdurare del conflitto, ancora più drammatica per quel 58% della popolazione italiana che teme il blocco dell’approvvigionamento di gas come conseguenza diretta della guerra in Ucraina.
Questi sono i principali dati emersi da una indagine lanciata in questi giorni dall’EngageMinds Hub, il Centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica, campus di Cremona, che da oltre due anni sta conducendo un monitor continuativo su atteggiamenti e comportamenti degli italiani.
“La guerra nel continente europeo mette a tema la questione energetica – sottolinea Guendalina Graffigna, direttrice di EngageMinds Hub –. I consumatori sono molto preoccupati dell’aumento del prezzo del gas e del petrolio, sia perché ci sono già segnali oggettivi di questo aumento, sia perché si tratta di beni di prima necessità che toccano tutti da vicino. D’altro lato – prosegue – questo attiva ed enfatizza una consapevolezza energetica della popolazione a favore di energie alternative, insieme al persistere di forti perplessità sul nucleare”. Per l’81% della popolazione, l’Italia dovrebbe investire maggiormente nella produzione di energie rinnovabili, alternative a quelle fossili; e il 75% crede che il futuro energetico del nostro Paese sarà in quella direzione. Solo il 41% del campione dell’indagine della Cattolica si è dichiarato a favore della fonte nucleare, verso cui si registra un minore favore rispetto ad altre fonti energetiche probabilmente ritenute più sicure o più “green”.

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