Pastorale della salute: mons. Delpini (Milano), “arte del buon vicinato” e “sapienza della conversazione” per curare “le relazioni malate”

Due “rimedi della nonna” per curare le relazioni malate: “l’arte del buon vicinato” e “la sapienza della conversazione”. Ad indicarli è l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, nel suo intervento alla sessione odierna del XXII Convegno nazionale di pastorale della salute “Gustare la vita, curare le relazioni”, promosso fino a domani dal relativo Ufficio Cei. Anzitutto “l’arte del buon vicinato, che vuol dire quel modo di abitare la vita, quindi l’ospedale, il quartiere, la casa di cura, gli ambienti ordinari, che rende desiderabile questo abitare”, spiega il presule. Questo “comporta anzitutto un pregiudizio positivo, cioè la certezza che siamo fatti per essere buoni vicini, per entrare in relazione”, contro l’individualismo che “induce ciascuno a guardare agli altri come un enigma o addirittura una minaccia”. Attraverso l’individualismo, avverte Delpini, “chi è più debole o isolato diventa facilmente manipolabile; quindi l’individualismo è uno strumento di molti poteri forti per acquistare consenso”. L’arte del buon vicinato insegna invece ad “abitare cercando la sicurezza nel costruire buone relazioni, nel bene che viene dall’amicizia”. In fondo è quello che “ci insegna Gesù quando incontra Zaccheo, non chiede eroismi o grandi imprese ma semplicemente gesti minimi che aiutano a gettare ponti e costruire fraternità”.
La seconda “terapia” proposta dall’arcivescovo di Milano è la “sapienza della conversazione”, quel modo di discorrere che “si distingue dalla chiacchiera banale che non dice nulla” e dal “parlare solenne di chi vuole insegnare e considera l’altro semplicemente un destinatario”. Di qui il richiamo all’icona di Gesù che siede al pozzo e “intraprende un dialogo di altissima teologia e profondissimo coinvolgimento personale con la Samaritana. La conversazione pone domande e ascolta risposte, si aspetta qualcosa dall’interlocutore”; è quindi  “tempo dedicato ad ascoltare”. “E i cappellani ospedalieri – conclude – sono ben allenati a questo”. Infine il ringraziamento dell’arcivescovo alla “presenza di Chiesa che in questi mesi difficili ha seminato un po’ di speranza e di sollievo e si è presa cura delle relazioni “.

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