Colombia: il Servizio gesuita ai rifugiati denuncia l’uso eccessivo della forza contro i migranti venezuelani alla frontiera del rio Arauca

Di fronte alle misure messe in atto dalle autorità colombiane per impedire l’ingresso irregolare di migranti venezuelani e all’allerta lanciata dalla comunità circa “l’uso eccessivo della forza, che ha portato al ribaltamento delle canoe che trasportano queste persone”, durante le operazioni condotta nei giorni scorsi sul rio Arauca, alla frontiera l’omonimo dipartimento colombiano e lo Stato venezuelano dell’Apure, il Servizio gesuita ai rifugiati di America Latina e Caraibi (Jrs Lac), condanna attraverso una nota le “azioni lesive della dignità umana” e chiede “la protezione dei diritti fondamentali dei popolazione di migranti e rifugiati”.
In quest’ottica, “sollecita le autorità colombiane e regionali ad attuare misure globali per proteggere la vita e i diritti umani di tutti, indipendentemente dalla loro nazionalità e status di immigrazione, con particolare attenzione alle aree di confine”.
Si evidenzia la necessità di applicare i meccanismi di tutela dei diritti umani, ratificati anche dalla Colombia (tra cui la Dichiarazione di Cartagena), con particolare attenzione alla garanzia di accesso al territorio per chi gode dello status di rifugiato.
I gesuiti fanno presente che quello tra Colombia e Venezuela è un “confine vivo”, connotato da una cultura condivisa che va al di là del confine territoriale tra Stati. “Dal riconoscimento di questo tessuto binazionale, vi invitiamo a rispettare queste dinamiche e a promuoverle nel rapporto reciproco degli Stati, per tutelare quell’interazione naturale, culturale e storica, che rappresenta l’identità degli abitanti della regione di confine”, prosegue la nota.
Allo stesso modo, “invitiamo tutti gli uomini e le donne di confine a promuovere una cultura dell’ospitalità, ancorata alla memoria storica di un passato di convivenza e integrazione, superando le ferite e incontrandosi attraverso la riconciliazione e pratiche che promuovono una sana convivenza”, conclude il documento.

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