Papa Francesco: ai sacerdoti di Roma, no a tentazione di “ignorare ferite profonde” causate da pandemia né di “rimanere immersi in paralizzante nostalgia del passato”

foto SIR/Marco Calvarese

“Le caratteristiche del virus fanno scomparire le logiche con cui eravamo abituati a dividere o classificare la realtà. La pandemia non conosce aggettivi, confini e nessuno può pensare di cavarsela da solo. Siamo tutti colpiti e coinvolti”. Lo sottolinea Papa Francesco nella lettera inviata ai sacerdoti della diocesi di Roma, non avendo potuto celebrare a livello diocesano la Messa crismale. “La narrativa di una società della profilassi, imperturbabile e sempre pronta al consumo indefinito è stata messa in discussione, rivelando la mancanza di immunità culturale e spirituale davanti ai conflitti”, evidenzia il Pontefice. Una serie di vecchi e nuovi interrogativi e problemi “hanno occupato l’orizzonte e l’attenzione. Domande che non troveranno risposta semplicemente con la riapertura delle varie attività; piuttosto sarà indispensabile sviluppare un ascolto attento ma pieno di speranza, sereno ma tenace, costante ma non ansioso che possa preparare e spianare le strade che il Signore ci chiama a percorrere”. “Sappiamo che dalla tribolazione e dalle esperienze dolorose non si esce uguali a prima. Dobbiamo essere vigilanti e attenti”, aggiunge il Santo Padre, che mette in guardia: “Esposti e colpiti personalmente e comunitariamente nella nostra vulnerabilità e fragilità e nei nostri limiti, corriamo il grave rischio di ritirarci e di stare a ‘rimuginare’ la desolazione che la pandemia ci presenta, come pure di esasperarci in un ottimismo illimitato, incapace di accettare la reale dimensione degli eventi”.
Di qui l’invito: “Le ore di tribolazione chiamano in causa la nostra capacità di discernimento per scoprire quali sono le tentazioni che minacciano di intrappolarci in un’atmosfera di sconcerto e confusione, per poi farci cadere in un andazzo che impedirà alle nostre comunità di promuovere la vita nuova che il Signore Risorto ci vuole donare”. Infatti, “sono diverse le tentazioni, tipiche di questo tempo, che possono accecarci e farci coltivare certi sentimenti e atteggiamenti che non permettono alla speranza di stimolare la nostra creatività, il nostro ingegno e la nostra capacità di risposta. Dal voler assumere onestamente la gravità della situazione, ma cercando di risolverla solo con attività sostitutive o palliative aspettando che tutto ritorni alla ‘normalità’, ignorando le ferite profonde e il numero di persone cadute nel frattempo; fino al rimanere immersi in una certa paralizzante nostalgia del recente passato che ci fa dire ‘niente sarà più come prima’ e ci rende incapaci di invitare gli altri a sognare e ad elaborare nuove strade e nuovi stili di vita”.

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