“In Afghanistan siamo ancora in pieno lockdown. L’Ambasciata italiana a Kabul, continua a essere chiusa e di conseguenza continua a essere impedito anche l’accesso alla chiesa, che ha la sua sede proprio all’interno della sede diplomatica. Va detto che la maggior parte dei fedeli ha lasciato l’Afghanistan all’inizio dell’epidemia. Rimangono le suore che, pur non potendo partecipare alla messa, possono contare sulla presenza eucaristica nelle loro comunità”. Lo racconta a Fides padre Giovanni Scalese, sacerdote Barnabita, responsabile della Missio sui iuris in Afghanistan. Nel Paese asiatico, fino a poche settimane fa, i contagi da Covid-19 si erano diffusi molto lentamente, ma la pandemia sta prendendo gradualmente piede: sono oltre tredicimila i casi e più di 200 i morti, in un territorio caratterizzato da una situazione politica instabile e da un sistema sanitario deficitario. Il distanziamento sociale, quindi, resta una misura imprescindibile. La cappella dell’Ambasciata italiana a Kabul – unica chiesa cattolica sul territorio afghano – aveva sospeso le celebrazioni il 23 marzo scorso, fino a data da destinarsi. Restano chiuse anche le scuole, come quella gestita dalle suore dell’associazione Pro bambini di Kabul. A tal proposito, padre Matteo Sanavio, sacerdote della Congregazione dei padri Rogazionisti e referente dell’associazione, spiega a Fides: “A causa della pandemia la scuola di Kabul non ha riaperto le porte dopo le vacanze d’inverno. Una delle suore, sr. Shehnaz, prima del lockdown è potuta rientrare nella sua patria, il Pakistan, per curarsi perché affetta da una brutta polmonite. Ora finalmente è guarita e sta aspettando che riaprano gli aeroporti per ritornare in Afghanistan. Le altre due sono state in casa a Kabul e hanno fatto carità nella discrezione, aiutando molte famiglie povere. Abbiamo ricevuto, comunque, un buon aiuto per l’opera e speriamo che presto la scuola riapra”.
L’istituto, che fornisce istruzione a circa quaranta bambini affetti da sindrome di Down, è frutto dell’operato di una realtà intercongregazionale (che accoglie, cioè, religiose di diversi Ordini) nata su iniziativa del sacerdote Guanelliano padre Giancarlo Pravettoni per rispondere alla richiesta di Giovanni Paolo II: nel discorso di Natale del 2001, infatti, il Pontefice lanciò un appello al mondo per salvare i bambini di Kabul. In Afghanistan, dove l’islam è riconosciuto come religione di Stato, la presenza cattolica fu ammessa all’inizio del Novecento come semplice assistenza spirituale all’interno dell’Ambasciata italiana a Kabul, con il primo sacerdote Barnabita. Nel 2002 è stata creata la “Missio sui iuris” da Giovanni Paolo II. Oggi la missione cattolica continua ad aver base nella struttura diplomatica ed è affidata al Barnabita padre Giovanni Scalese. Nella capitale afghana sono operative, inoltre, le suore Missionarie della Carità.