Papa Francesco: ai sacerdoti di Roma, “abbiamo vissuto comunitariamente l’ora del pianto del Signore”

foto SIR/Marco Calvarese

“Tutti abbiamo ascoltato i numeri e le percentuali che giorno dopo giorno ci assalivano; abbiamo toccato con mano il dolore della nostra gente. Ciò che arrivava non erano dati lontani: le statistiche avevano nomi, volti, storie condivise. Come comunità presbiterale non siamo stati estranei a questa realtà e non siamo stati a guardarla alla finestra; inzuppati dalla tempesta che infuriava, voi vi siete ingegnati per essere presenti e accompagnare le vostre comunità: avete visto arrivare il lupo e non siete fuggiti né avete abbandonato il gregge”. Lo scrive Papa Francesco nella lettera inviata ai sacerdoti della diocesi di Roma, non avendo potuto celebrare a livello diocesano la Messa crismale. “Abbiamo patito la perdita repentina di familiari, vicini, amici, parrocchiani, confessori, punti di riferimento della nostra fede”, sottolinea il Pontefice, che, dopo aver citato il dolore di familiari che hanno perso cari, la fatica di operatori sanitari, la paura di lavoratori e volontari, la solitudine e l’isolamento soprattutto degli anziani; l’incertezza lavorativa e abitativa; la paura ancestrale del contagio, la povertà in cui sono cadute intere famiglie, il Santo Padre ammette: “Abbiamo sperimentato la nostra stessa vulnerabilità e impotenza. Come il forno prova i vasi del vasaio, così siamo stati messi alla prova. Frastornati da tutto ciò che accadeva, abbiamo sentito in modo amplificato la precarietà della nostra vita e degli impegni apostolici. L’imprevedibilità della situazione ha messo in luce la nostra incapacità di convivere e confrontarci con l’ignoto, con ciò che non possiamo governare o controllare e, come tutti, ci siamo sentiti confusi, impauriti, indifesi. Viviamo anche quella rabbia sana e necessaria che ci spinge a non farci cadere le braccia di fronte alle ingiustizie e ci ricorda che siamo stati sognati per la Vita”.
La complessità di ciò che si doveva affrontare, osserva Francesco, “non tollerava ricette o risposte da manuale; richiedeva molto più di facili esortazioni o discorsi edificanti, incapaci di radicarsi e assumere consapevolmente tutto quello che la vita concreta esigeva da noi. Il dolore della nostra gente ci faceva male, le sue incertezze ci colpivano, la nostra comune fragilità ci spogliava di ogni falso compiacimento idealistico o spiritualistico, come pure di ogni tentativo di fuga puritana. Nessuno è estraneo a tutto ciò che accade”. “Possiamo dire che abbiamo vissuto comunitariamente l’ora del pianto del Signore”, afferma il Papa.

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