“Voi siete testimoni di speranza e toccherà a voi opporvi a ciò che contrasta la speranza: sarete messi alla prova per vedere se riuscirete ad abbattere la disperazione che, come un veleno malefico, si è insinuata nella nostra civiltà”. Ha detto così, monsignor Mario Delpini, agli 11 candidati che diventeranno i “nuovi” sacerdoti ambrosiani 2025, il prossimo 7 giugno, nello stesso giorno nel quale, 50 anni fa, l’attuale arcivescovo di Milano, in duomo, veniva ordinato prete. Con Delpini e con i diaconi – che si sono presentati ufficialmente alla comunità –, durante la tradizionale Festa dei fiori svoltasi ieri nel seminario arcivescovile di Venegono Inferiore, diverse centinaia di sacerdoti, alcuni festeggiati per importanti anniversari, come chi ha “compiuto” il 70° “di messa”, ossia di ministero presbiterale e i più giovani, preti da solo un anno. Senza dimenticare i diaconi permanenti e i vescovi, come Angelo Mascheroni nel 35° di episcopato, Giuseppe Merisi, già alla guida della diocesi di Lodi, nel 30°; Luca Raimondi e Giuseppe Vegezzi, ausiliari di Milano, nel quinto anniversario.
Di “un amore che non sfiorisce” ha parlato il presule nell’omelia della celebrazione eucaristica. “Un amore che il passare degli anni non può sconfiggere, che il potere non vince, che l’istituzione non riesce trasformare in una sterile burocrazia. Oggi e sempre, negli anni del nostro ministero, pochi o tanti che siano, dobbiamo riconoscere che l’amore attraversa molte tentazioni, è insidiato da molti pericoli e tuttavia che vince, resiste, trasfigura il tempo in occasione e fedeltà, il potere in servizio, l’istituzione nella forma e nella disciplina della comunità. In questo seminario da più di 90 anni hanno vissuto molti uomini dedicati, intenzionati a vivere la vigilanza per tener vivo l’amore e lo Spirito ha consentito molte vittorie. Noi ne siamo grati, fieri, lieti”, ha concluso monsignor Delpini, suggellando la riflessione di una giornata iniziata con la relazione di padre Roberto Pasolini – biblista, cappuccino, predicatore della Casa pontificia –, dedicata ad “Accompagnare i giovani di oggi nel cammino della vita e nel cammino vocazionale”.
“Noi continuiamo a procedere ‘a squadre’, ma siamo consapevoli che la formazione deve essere personale. Ciò può migliorare il nostro accompagnamento vocazionale e spirituale perché questo tempo ha bisogno di profezia e di sapienza. Amare le persone che stiamo accompagnando è fondamentale, anche perché significa convertire continuamente e quotidianamente il nostro stesso sguardo. Dobbiamo essere solidali nell’esperienza umana che tutti condividiamo e porci in una sincerità con l’altro che mantiene una distanza, ma abbatte il muro di gomma”.