Maternità: Save the Children, “numero di neonati e neomamme in picchiata. Primo parto a 32 anni, il 43% non desidera altri figli”

Il 2022 ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia, -1,9% per 392.598 registrazioni all’anagrafe. Una contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni e che ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione. Le donne hanno meno figli o non ne hanno affatto: i primi figli nati nel 2021 sono il 34,5% in meno di quelli che nascevano nel 2008, con una contrazione anche del numero di figli nati da entrambi i genitori stranieri, che si è fermato a quota 56.926 nel 2021 (era 79.894 nel 2012)[1]. Il 12,1% delle famiglie con minori nel nostro Paese (762mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta. In Italia 1 famiglia su 4 con figli è a rischio povertà, mentre il numero di neonati e neomamme è in picchiata. Il primo parto avviene a 32 anni. Nonostante il sentimento di gioia per la maternità sia quello prevalente nella grandissima maggioranza delle madri, il 43% dichiara di non desiderare altri figli. Tra le cause segnalate fatica (40%), difficile conciliazione lavoro/famiglia (33%), mancanza di supporto (26%), scarsità dei servizi (26%). È quanto emerge dall’8° edizione del rapporto “Le Equilibriste” di Save the Children, reso noto oggi. In Italia, infatti, la coorte di donne in età fertile è diminuita nei decenni e si diventa madri sempre più tardi: l’età media al parto è di circa 32 anni, una delle più alte in Europa, e già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni. Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. Il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali. Pesano anche, e molto, differenze geografiche e titolo di studio.
In una indagine realizzata da Ipsos per Save the Children e contenuta nel rapporto, le mamme di bambine e bambini tra 0 e 2 anni testimoniano infatti un chiaro vissuto di solitudine e fatica, dall’evento del parto alla ricerca di un nuovo equilibrio nella vita familiare e lavorativa. Dal sondaggio emerge che in ospedale, se la qualità dell’assistenza sanitaria è considerata buona dall’81% delle intervistate, 1 donna su 2 non si è sentita accudita sul piano emotivo e psicologico, e al ritorno a casa in molte non si sono sentite supportate dai servizi pubblici come l’assistenza domiciliare (58%) e i consultori familiari (53%). Le madri intervistate che hanno vissuto l’esperienza del parto hanno riportato di aver provato sia sensazioni positive che negative durante il post-partum nell’88% dei casi (47% in egual misura, 30% soprattutto positive, 11% soprattutto negative). La gioia provata per l’arrivo di un figlio (il 77% delle intervistate che hanno provato sensazioni positive la cita come sensazione prevalente), insieme al senso di completezza (43%), serenità (40%) e appagamento (39%), si intrecciano con emozioni negative come la stanchezza (80% delle intervistate che hanno provato sensazioni negative), l’insicurezza (53%), la paura (51%), il senso di inadeguatezza (44%) e la solitudine (38%). Nella quotidianità, sono infatti le madri a dedicare gran parte del loro tempo alla cura del figlio/a, 16 ore contro le 7 del partner. Il 40% delle mamme intervistate fatica a ritagliarsi del tempo per sé. Il 40% delle donne riporta anche vissuti di crisi o conflittualità nella coppia dopo la nascita del figlio/a, e 1 donna su 5 segnala l’emergere di una maggiore aggressività del partner o dichiara di averne avuto paura. Ben 6 mamme su 10 non hanno accesso al nido, risorsa chiave per la loro partecipazione al mercato del lavoro. In più di 1 caso su 4 ciò è dovuto a carenze del servizio pubblico. Rispetto alle politiche considerate maggiormente amiche dalle mamme, dalla ricerca emerge l’assegno unico, di cui usufruisce il 63% delle intervistate, mentre solo il 15% beneficia del bonus nido. Se quasi la metà del campione non ha intenzione di avere altri figli, perché troppo faticoso (40%), per le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia (33%), per mancanza di supporto (26%) o per insufficienza dei servizi disponibili (26%), il sondaggio evidenzia quale sostegno potrebbe cambiare in positivo la propria propensione ad avere ulteriori figli. Tra quelli segnalati emergono un assegno unico più consistente (23%) o la possibilità di asili nido gratuiti (21%), ma anche un piano personalizzato di assistenza tarato sulle esigenze specifiche della famiglia (12%), un’assistenza domiciliare pubblica in caso di malattia del bambino/a per permettere ai genitori di non assentarsi dal lavoro (7%) o un sostegno psicologico pubblico che accompagni le madri nei primi mesi di vita (6%).

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