Lavoro: Blangiardo (Istat), “quello da remoto passato dal 5% del 2019 al 14%, con picchi del 23,6% per le donne”

“A fine 2019 lavorava da remoto circa il 5% degli occupati, con una forte prevalenza degli indipendenti; nel secondo trimestre del 2020 l’incidenza ha superato il 19%, raggiungendo il 23,6% per la componente femminile, con un deciso aumento della quota dei dipendenti. In seguito, l’incidenza del lavoro a distanza si è ridotta, in linea con l’evoluzione delle misure di contrasto all’emergenza, collocandosi al 14% in media d’anno”. Lo ha affermato questa mattina, Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, nel corso dell’audizione alla XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati.
La diffusione del lavoro da remoto, ha spiegato, è stato “un mutamento improvviso, che nel giro di poche settimane ha portato l’Italia in linea con la media europea, partendo da una posizione molto arretrata”.
Blangiardo ha citato i dati dell’Indagine sul diario degli italiani (dicembre 2020-gennaio 2021) che “ha messo in luce le difficoltà incontrate dagli occupati nel condividere obbligatoriamente spazi e dotazioni tecnologiche, in particolare in presenza di figli”. Circa un terzo dei rispondenti ha riportato problemi di conciliazione di spazi e tempi di vita lavorativi e familiari, ma l’incidenza raggiunge il 69% per le donne con figli minori di 14 anni, e il 42,5% per gli uomini nelle stesse condizioni. Tra tutti gli occupati che a seguito dell’emergenza sanitaria hanno lavorato da casa, la quota di chi vorrebbe continuare a lavorare così tutti i giorni è contenuta (15,2%), mentre arriva a quasi un terzo (30,6%) chi è contrario a una prosecuzione di questa esperienza (34,4% tra gli uomini e 27,3% tra le donne). Il 42,3% sarebbe d’accordo ad accettare tale modalità di lavoro due-tre volte a settimana (in entrambi i casi con una prevalenza delle donne) e un 11,9% anche più raramente. Rispetto ad un eventuale proseguimento dell’esperienza “i segmenti di lavoratori e lavoratrici più svantaggiati quanto a spazi e tempi di vita – ha commentato – sono anche quelli che sarebbero maggiormente penalizzati da un proseguimento nelle stesse forme del lavoro a distanza”.

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