Pastorale della salute: mons. Redaelli (Cei), “diventi pastorale ordinaria”. Mons. Bressan (vicario Milano), “fiducia è base per vera cura”. Pagazzi (Jp2), “in relazioni essere buongustai e non golosi”

In questi mesi di pandemia, “in Lombardia ci siamo resi conto che ci vogliono realtà altamente specializzate, ma è altrettanto importante la medicina sul territorio. E potremmo dire che è decisiva anche la pastorale della salute” che “deve diventare sempre più parte della pastorale ordinaria”. Ne è convinto mons. Carlo Maria Redaelli, presidente della Commissione episcopale Carità e salute della Cei, intervenuto in presenza al XXII Convegno nazionale di pastorale della salute “Gustare la vita, curare le relazioni”, promosso a Milano dall’Ufficio Cei fino a giovedì. Per Filomena Maggino, presidente cabina di regia Benessere Italia del Governo italiano, “la ripartenza richiede anche la ricostruzione della coesione sociale, della fiducia dei cittadini nelle istituzioni, dell’identità e della speranza, ossia la fiducia di costruire un progetto di vita individuale e comunitario”.
“Uscire dalla pandemia si può, se tutti ci daremo una mano, se tutti faremo il vaccino, se seguiremo le indicazioni della scienza”, ha detto Filippo Anelli, presidente Fnomceo dopo avere ricordato l’impegno e la fatica di medici e operatori sanitari in prima linea da oltre un anno. Per un’autentica “medicina salutis”, ha osservato mons. Luca Bressan, vicario di settore dell’arcidiocesi di Milano, occorre “misurarsi con la domanda di affidamento che il malato porta scritta in sé”. La fiducia diventa quindi “il fondamento di un modo diverso, ricco e profondo a livello antropologico, di tessere percorsi e itinerari per abitare la malattia, per realizzare azioni di cura reale”.
Nella sua riflessione sul rifiuto della vita, Silvano Petrosino, professore di filosofia morale e di filosofia della comunicazione Università Cattolica di Milano, ha spiegato che questo “nasce dall’invidia e dalla difficoltà di saper riconoscere il bene; non dalle cose in sé ma dal nostro stato d’animo, dalla nostra predisposizione”. “In una relazione non c’è mai soltanto il piatto dolce, e una relazione salta quando noi ci accostiamo ad una persona da golosi e non da buongustai”, ha chiarito don Giovanni Cesare Pagazzi, professore ordinario di teologia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II (Jp2), secondo il quale il nostro compito, “per noi e per le persone che ci sono affidate, è trasformarci da golosi di buongustai educando il palato a tutti i gusti”. Per Luigina Mortari, docente di pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze umane di Verona, la cura “non è solamente cura del corpo ma è cura perfetta della vita dell’anima, guidati dall’intenzione di fare ciò che rende la vita degna di essere vissuta” e di “tenere l’essere immerso nel bene”.

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