Afghanistan: p. Scalese (Kabul), “con ritiro Usa e Nato, Paese a rischio guerra civile”

Il ritiro dei militari Usa e della Nato deciso dal presidente Biden e avallato dai vertici dell’Alleanza Atlantica “mette a rischio la sicurezza del Paese”: è quanto dichiara il barnabita padre Giovanni Scalese, responsabile della Missio sui Iuris di Kabul, unica presenza cattolica nel Paese musulmano, per il quale “è più che legittimo avanzare qualche perplessità sulla reale capacità del Governo di far funzionare la macchina dello Stato senza poter contare sul sostegno finanziario dei Paesi occidentali. È vero che tutti giurano ora che non abbandoneranno l’Afghanistan e continueranno a sostenerlo; ma un conto sono gli interventi della cooperazione, un altro il regolare sovvenzionamento delle istituzioni”. “Non mi pare che in questi anni sia stato fatto molto per il rilancio dell’economia afghana – aggiunge il religioso – anche perché la situazione non lo permetteva; per cui non so come un paese senza un’economia che funzioni possa andare avanti”. Il rischio “guerra civile” è dunque concreto e dovuto anche al fatto che “finora le trattative fra il Governo e i talebani, (previste dagli accordi di Doha del 29 febbraio 2020 tra Usa e talebani, ndr.), non sono mai partite seriamente o comunque non hanno portato ad alcun risultato. Il progetto era quello di formare un governo di transizione, di unità nazionale, per poi giungere a libere elezioni che avrebbero deciso chi dovesse governare. Ma se le parti non si parlano, come si può formare insieme un governo? Molto più facile far parlare le armi”, chiosa padre Scalese. Il barnabita, tuttavia, si dice certo che “anche se i talebani dovessero avere il sopravvento, perché meglio organizzati e finanziati, non credo che possano illudersi di restaurare l’Emirato islamico, come se questi vent’anni non fossero esistiti. Potranno pure imporre una nuova Costituzione – del resto, l’attuale Costituzione prevede già una ‘Repubblica islamica’ – ma non potranno pretendere di cancellare le libertà o ignorare i diritti a cui gli afghani, in questi anni, si sono abituati. Non dimentichiamo che i giovani non hanno conosciuto l’Emirato e sono cresciuti in questa nuova realtà. Le donne, contrariamente a quel che si pensa, sono una presenza numerosa, qualificata e attiva nella società afghana; sarebbe impensabile volerle rinchiudere di nuovo in casa o dentro un burka. Non resta che attendere, per vedere come si evolverà la situazione. Come cristiani, non possiamo che sperare in una evoluzione positiva, che ridia, dopo tanti anni di violenza, un po’ di serenità a questo Paese”.

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