Vita consacrata: Enna, i 70 anni di professione religiosa di suor Tarcisia a servizio dei tossicodipendenti

Una vita per gli altri alla ricerca del profumo e del volto di Dio nello sguardo di chi ha sofferto, specie a causa della tossicodipendenza. Alla soglia dei 96 anni, suor Tarcisia, al secolo Mafalda Saja, ha festeggiato 70 anni di professione religiosa. L’anniversario è stato celebrato in occasione della Giornata della vita consacrata, nel corso di una santa messa celebrata a Enna, sua città di origine, nella parrocchia san Bartolomeo.
Aveva 20 anni suor Tarcisia (il nome che sceglierà da professa in memoria di una nipote scomparsa prematuramente), quando entrò nella “Comunità delle Figlie della Sapienza”, dopo avere conosciuto madre Alessandra che prestava servizio nell’ospedale ennese. Inviata a Castiglione Torinese per il postulandato, scelse la missione. Studiò francese e, conseguiti i corsi di infermieristica, partì alla volta delle Grandi Antille a servire per un ventennio “chi non ha voce”. Poi il ritorno in Italia. Negli anni ’80 è stata per un mese volontaria tra i terremotati dell’Irpinia, poi il trasferimento a Bari, dove ha prestato servizio negli ospedali e nei centri di recupero per adolescenti con problemi legati alla droga. Per 10 anni operò nel Sert, il primo della Puglia, incoraggiando e accompagnando centinaia di giovani ad uscire dal tunnel della droga. Quindi, la fondazione di un’associazione di famiglie per tossicodipendenti in un locale messo a disposizione dalla Caritas. “Da lì, in via Amendola, 149 – racconta al telefono – passò Madre Teresa di Calcutta. Dopo la notizia della sua beatificazione, abbiamo fatto costruire una cappella a lei dedicata”.
Da poco tempo è tornata nella sua città di origine salvando, di fatto, la Comunità della Figlie della Sapienza, che sarebbe stata chiusa per la diminuzione del numero religiose, appena due. Lucida e vivace, insiste sulla necessità di “rendere vivo il Vangelo, perché è più nuovo che mai. È un libro che non muore mai, ma noi spesso non lo sappiamo raccontare. Quando si lavora per gli ultimi, i bisognosi – conclude – servono spirito e creatività”.

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