Processo in Vaticano: don Martinelli, “accuse infondate”

“Sono accuse infondate”. Così don Gabriele Martinelli ha respinto al mittente ogni accusa a suo carico, parlando di accuse che “hanno colpito me ma volevano colpire soprattutto il Preseminario”. Lo ha riferito il “pool” di giornalisti presente all’udienza svoltasi oggi presso il Tribunale vaticano – durata circa tre ore – che vede accusati don Gabriele Martinelli e mons. Enrico Radice, rettore del Preseminario San Pio X, rispettivamente di abusi sessuali e favoreggiamento.  Le accuse, secondo Martinelli, sono “frutto di divisioni della equipe educativa che poi si riflettevano anche sugli allievi”. A Martinelli, durante l’udienza presieduta dal presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, sono stati riletti i due interrogatori resi al Promotore di Giustizia vaticano il 23 ottobre 2018 e al delegato per l’investigatio previa della diocesi di Como il 24 febbraio 2018. In entrambi, l’imputato ha negato qualsiasi accusa che gli è stata rivolta in questi anni dalla presunta vittima L.G. che ha inviato lettere, anonime e firmate, all’ex rettore Radice, al cardinale Angelo Comastri, al vescovo di Como Diego Coletti e anche a Papa Francesco il 9 giugno 2017.

Martinelli ha affermato che ogni accusa è frutto di gelosie nei suoi confronti, quindi un tentativo di bloccare la sua ordinazione sacerdotale; soprattutto, l’intera vicenda è il risultato di profonde divisioni interne tra superiori (da una parte, il rettore mons. Radice e, dall’altra, il vice don Ambrogio Marinoni e l’assistente spirituale don Marco Granoli, morto l’anno scorso) che si riflettevano tra gli allievi che, nonostante la giovane età, erano arrivati a spaccarsi in due per questioni. Più nel dettaglio, Martinelli ha raccontato la vita del seminario scandita da studio, servizio nella Basilica di San Pietro, momenti di gioco e di preghiera con la comunità del San Pio X, senza nessuna possibilità di uscire. Ha ricordato che la sera, intorno alle 22.30/ 23 i ragazzi dovevano trovarsi nelle loro stanze: un’ex camerata suddivisa in 7-8 stanze più piccole, collocate tutte su un unico corridoio e chiuse con porte in legno e la parte superiore in vetro. “Così don Enrico (Radice) vedeva ad esempio se c’era qualcuno che ancora stava al cellulare e diceva di andare a dormire”. Le porte non venivano mai chiuse, non esistevano chiavi e il rettore entrava in ogni stanza a spegnere la luce. Per Martinelli – che ha condiviso per un anno la stanza con il suo accusatore L.G. e con un altro ragazzo oggi sacerdote – questo sistema impediva che si compissero abusi senza che nessuno se ne accorgesse. Il sacerdote ha assicurato che era impossibile avere rapporti sessuali (come affermato da L.G. in diverse lettere) nel piccolo bagno sotto l’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. Ha negato di essere il pupillo di Radice e ha detto di non aver avuto alcun ruolo di potere all’interno del San Pio X, seppur lo stesso Radice abbia dichiarato che il ragazzo svolgeva mansioni di tutoraggio con i più giovani.  Ha inoltre dichiarato che L.G. non gli ha mai rivolto per iscritto o verbalmente le accuse contenute nelle lettere anonime inviate al cardinale Comastri, al rettore Radice e anche al Papa nel 2017.

L’avvocato di L.G. ha parlato di tre sanzioni disciplinari notificate tra il 2017 e il 2018 dalla Diocesi di Como a Martinelli dopo l’esplosione dello scandalo, a seguito anche della trasmissione “Le Iene”. Queste notificazioni prevedevano che Martinelli vivesse in isolamento, senza rispondere al telefono se non ai genitori e al vescovo. Il sacerdote ha raccontato di essere stato mandato in un paesino della Val d’Aosta, in un monastero con tre monaci, a meno 17 gradi sotto zero. Il padre ha protestato e, dopo varie insistenze, ha incontrato il vescovo Cantoni che gli ha permesso di risiedere in una struttura con delle monache benedettine. Martinelli ha detto pure di aver voluto inizialmente intraprendere azioni legali, soprattutto contro la troupe delle “Iene” dalla quale si è sentito aggredito. Il vescovo gli avrebbe però suggerito che era meglio “non contattare nessuno”, “aspettare” e “non avere colloqui coi giornalisti”. Martinelli ha precisato che quello del vescovo è stato solo un suggerimento: “Non mi ha impedito di denunciare, a me è stata insegnata l’obbedienza al vescovo che vedo come padre e punto di riferimento e ho obbedito. In quei momenti mi sentivo molto confuso”. Prossima udienza il 24 febbraio.

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