Popoli e Missione: nell’editoriale del card. Zuppi l’impegno per la pace. Intervista esclusiva al poeta libanese Hafez Haidar

“Senza la pace ci sono solo paura e dolore. Operare la pace significa accogliere l’altro, rispettarlo nella sua (assieme alla nostra) libertà e dignità. È la pace che si genera nei cuori che richiede una mano tesa verso il ‘prossimo’, che si fonda sul dialogo, che ha come obiettivo relazioni pienamente umane e durature”. Così il card. Matteo Zuppi, presidente Cei e arcivescovo di Bologna, nell’editoriale di apertura del numero di gennaio di “Popoli e Missione”, in cui il tema della pace è ricorrente, a partire dal dossier “La pace? Un buon affare per l’umanità”. L’economia di guerra ha cifre da record infatti ma alla lunga non è un buon affare come sembra, molto più costruttivo scommettere sulla pace e riprogrammare il futuro in termini di dialogo tra culture e mondi diversi, si legge nel dossier. Non si stanca di ripeterlo il Papa, lo ripetono personaggi di cultura come il poeta libanese Hafez Haidar nell’intervista in esclusiva per “Popoli e Missione”. Su questa linea si impegnano forze della società civile e istituzioni nella Campagna 0,70% per aumentare il contributo italiano alla cooperazione internazionale e allo sviluppo sostenibile. E ci sono Paesi come la Colombia che mobilitano le forze politiche in opposizione per arrivare ad una pacificazione totale.
Nella prima parte della rivista una intervista alla poetessa e attivista bielorussa Taciana Niadbaj, costretta a fuggire dal suo Paese in Polonia, che racconta le condizioni di vita sotto il regime di Lukashenko, dove “ogni giorno si contano nuovi arresti, spesso accompagnati da percosse e abusi che costringono le persone ad ammettere davanti alle telecamere crimini falsi o insensati. Tuttavia, molti bielorussi continuano a resistere e a battersi per la democrazia”. La voce dei testimoni anche nel servizio sui cambiamenti climatici in cui parlano Ricardo Rao, Premio Focsiv come “Difensore dei diritti umani”, già guardia forestale in Amazzonia che ha dovuto abbandonare la Foresta per le minacce dei garimperos che sfruttano il territorio degli indigeni; don Silvano Perissinotto, fidei donum in Ciad, che racconta dell’abbandono delle tribù insediate sulle sponde del Lago, il cui livello è sensibilmente diminuito.

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