Aree interne: mons. Crociata (Latina), “solo il coinvolgimento di tanti potrà continuare a rendere vivo un territorio toccato da spopolamento e invecchiamento”

Un invito a “riprendere in mano la questione ministeriale in senso lato”. È venuto, oggi pomeriggio, da mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, durante l’incontro dei vescovi delle “Aree interne”, in corso a Benevento. “Vanno certo dismessi condizionamenti di tipo rivendicazionistico da parte non solo di laici, che rivelano povertà umana, culturale e spirituale”, ha chiarito il presule, evidenziando la necessità di “una revisione graduale ma effettiva dei rapporti tra presbiteri, diaconi permanenti e laici, che vada nel senso di una effettiva partecipazione, collaborazione, condivisione. È in qualche modo ciò che sta perseguendo o comunque intende anche perseguire il Cammino sinodale della Chiesa in Italia”. Si tratta di capire, innanzitutto, “che cosa significa esercitare il ministero ordinato lavorando in équipe”.
Secondo il vescovo, “piccole comunità sparse in un territorio spesso molto vasto o impervio hanno bisogno di maturare ed esprimere una propria soggettività, e di non stare in attesa che giunga un prete trafelato a celebrare in fretta e furia qualche sacramento per poi scappare per un’altra destinazione. Una soggettività maggiore significa spazio ordinario per la preghiera e l’ascolto, e capacità di attendere e preparare un momento assembleare liturgico con la presidenza del presbitero vissuto con la dovuta appropriatezza, serenità e viva partecipazione. A questo scopo è necessario che qualche laico della comunità venga preparato a tale scopo e che l’organizzazione del rapporto tra parrocchie diverse consenta, anche a distanza temporale più lunga del ritmo settimanale, di vivere adeguatamente una esperienza di assemblea celebrante. In taluni casi un lavoro di raccordo, in qualche ambito specifico, può essere svolto da un diacono permanente”.
Nelle unità pastorali, ha osservato mons. Crociata, “ciò che dovrebbe essere assicurato è una circolarità tale della presenza presbiterale da garantire un minimo di vita ecclesiale di qualità, grazie alla continuità di una rete di relazioni capace di tenere viva ogni parte della grande comunità di parrocchie. In questo un ruolo importante sono destinati a svolgere gli organismi di partecipazione”. Insomma, “solo il coinvolgimento di tanti, in uno sforzo di effettiva partecipazione e, diciamo pure, corresponsabilità, nella logica dello schema uno-alcuni-tutti, potrà continuare a rendere vivo un territorio toccato dallo spopolamento e dall’invecchiamento”.
Ma, ha ammesso, “la formazione dei preti, anche di quelli che si stanno preparando in questi anni, non sempre va nella direzione della crescita della collaborazione e della corresponsabilità. Si comincia a parlare di leadership, ma la si intende nel senso di una guida, certo autorevole, sicura, competente, ma spesso anche autoreferenziale se non autoritaria”. Servono preti (e anche vescovi) che “sappiano farsi collaborare, sappiano far lavorare, capaci di dare spazio e fiducia, mantenendo un coordinamento di largo respiro, e non con il respiro corto di chi difende con ansia, se non con le unghie e con i denti, il proprio spazio, preoccupato di invasioni di campo o di lesa maestà”. E “la musica non cambia quando si tratta di mettere a collaborare presbiteri, anzi per certi versi si complica e da andante diventa mosso”.

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