Aree interne: mons. Crociata (Latina), “la situazione di disagio può diventare occasione di presa di coscienza della propria indivisibile responsabilità ecclesiale e civile”

Una terza pista di lavoro individuata da mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, nel suo intervento oggi pomeriggio all’incontro dei vescovi delle “Aree interne”, in corso a Benevento, sta “nel compito di testimonianza pubblica e di animazione sociale che la comunità cristiana ha sempre il compito di rendere, innanzitutto per essere se stessa e rispondere alla sua chiamata e alla sua missione, ma poi perché ha a cuore la comunità umana in mezzo alla quale rende la sua testimonianza e svolge la sua missione. Su questo punto si sconta un limite che non è meno grave e insidioso della stessa progressiva riduzione numerica di fedeli e di preti, e cioè lo scollamento tra fede e vita, con la conseguenza di una irrilevanza pubblica della presenza cristiana. Questa sembra caratterizzarsi solo per l’esercizio del culto, ma il più delle volte non per la qualità della coerenza personale e di gruppo nella vita sociale, nel lavoro, nel dibattito della cittadinanza, in linea peraltro con un diffuso senso di indifferenza per la cosa pubblica e di noncuranza per il bene comune”.
Proprio “la situazione di disagio che subiscono le aree interne può diventare occasione di presa di coscienza della propria indivisibile responsabilità ecclesiale e civile. In questo senso, l’animazione che laici possono condividere con i ministri ordinati deve abbracciare le questioni poste dal territorio e le esigenze della gente che vi è insediata con tutti i disagi e le difficoltà che ciò comporta. Non è troppo ardito affermare che la presenza cattolica si risveglierà a una più viva e numerosa partecipazione quando avrà maturato anche la coscienza della propria responsabilità non solo ecclesiale, ma anche sociale e civile”. Del resto “l’irrilevanza morale e pubblica è solo lo specchio in cui si riflette l’insignificanza religiosa e culturale, e quindi anche spirituale ed ecclesiale. Queste cose stanno o cadono insieme. Per questo bisogna interrogarci sulle severe esigenze del nostro essere Chiesa. Altrimenti risulta fatuo e futile ragionare di presenza dei cattolici in politica; se non ci sono cattolici maturi e seri, non possono esserci nemmeno cattolici in politica”.
“La Chiesa – ha osservato – non è estranea o indifferente di fronte ai problemi del lavoro, della salute, della solitudine, della carenza di mezzi essenziali alla sussistenza, e altro ancora. Contrastare una mentalità di attesa passiva di qualcuno o di qualcosa che arrivi da fuori, far sorgere volontà di iniziativa e di collaborazione: questo è un compito che una comunità ecclesiale si deve comunque dare. Soprattutto di fronte a temi che sono in modo peculiare connessi a quei territori: pensiamo ai flussi migratori non solo in uscita, ma anche degli immigrati che spesso penetrano perfino in angoli remoti del Paese, o anche alla cura dei beni comuni come l’acqua e l’aria, o ancora più in generale la terra e la sua coltivazione, e in generale dell’ambiente sempre più minacciato anche nei territori più remoti”.
Mons. Crociata ha concluso: “Le aree interne formano la parte debole del Paese. Noi crediamo però che la coscienza della debolezza e la ferma volontà di reagire, soprattutto se assunte in una luce di fede, sono in grado di produrre effetti anche superiori alle potenzialità effettive. Se a questo si aggiunge la persistenza di un patrimonio ancora non del tutto dilapidato, dal punto di vista morale e religioso, allora le possibilità di riscatto, ecclesiale e civile, aumentano a dismisura. Si tratta di ricomporre le identità sociali e di ritessere il filo della coesione sociale, di rifondare il legame sociale, in un contesto – purtroppo – di generale contrattualizzazione delle relazioni sociali”.

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