El Salvador: Cardenal (gesuita): “i 4 martiri simbolo del popolo salvadoregno. Padre Grande fu innovatore, non si capisce Romero senza di lui”

Foto Arcidiocesi El Salvador

“I quattro martiri che vengono beatificati sabato 22 gennaio rappresentano assieme a mons. Romero il volto di una Chiesa martire e sono il simbolo del popolo salvadoregno. Del resto, accanto a queste figure, nelle parrocchie ci sono altre persone uccise che i fedeli pregano come martiri, anche se non sono riconosciute”. Lo spiega al Sir spiega il gesuita padre Rodolfo Cardenal, docente all’Università Centroamericana di San Salvador (Uca), considerato il biografo più accreditato di padre Rutilio Grande, il più conosciuto dei nuovi beati. Con lui due collaboratori laici che lo accompagnavano, Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus. Il primo era un catechista settantenne, che accompagnava sempre padre Rutilio, il secondo era un giovane. E poi padre Cosma Spessotto, francescano, missionario italiano originario di Mansuè (Treviso), parroco per 27 anni a San Juan de Nonualco, nella cui chiesa fu ucciso il 14 giugno 1980. Un martirio “diffuso”, insomma, che coinvolge preti e laici, come nel caso di padre Grande e dei due suoi collaboratori. “Padre Rutilio – ricorda Cardenal – in Seminario aveva formato generazioni di sacerdoti, era conosciuto anche in altri Paesi, ma si scontrò con i settori più conservatori dell’episcopato. Aveva una grande umanità ed era convinto che i sacerdoti dovessero per primi essere vicini al popolo e in particolare ai poveri. Per certi aspetti era un ‘anticlericale’, nel senso in cui oggi lo è Papa Francesco quando critica il clericalismo. Chiese lui di andare in una parrocchia rurale, ad Aguilares, e lì mise in atto una pastorale innovativa, qualcosa che assomiglia al cammino sinodale oggi indicato dal Papa. Lui parlava di pastorale d’insieme, in parrocchia impostò la sua azione pastorale a partire dai laici, dagli agricoltori, li rese protagonisti, diede loro dignità. Oltre al Concilio, mise in pratica il magistero di Paolo VI, soprattutto l’Evangelii Nuntiandi, e fu interprete della stagione di rinnovamento della Chiesa latinoamericana, coincidente con la Conferenza di Medellín. Fu molto importante anche per la Compagnia di Gesù, fu subito percepito come un martire”. La sua uccisione sconvolse mons. Romero, con cui era molto amico. Non si capisce Romero senza Rutilio Grande, la cui morte e il cui messaggio influenzarono il magistero successivo dell’arcivescovo in modo indelebile. Ma padre Cardenal invita anche a non dimenticare padre Spessotto: “E’ una figura meno conosciuta, ma luminosa, come si evince dal ricordo che ha lasciato nelle parrocchie dove ha prestato servizio”. Questo evento richiama, come accennato, la lunga scia di sangue lasciata dalla Chiesa salvadoregna, che si prolunga fino al 1989, con il cosiddetto massacro dei “martiri della Uca”, con l’uccisione di otto persone, tra cui sei gesuiti, all’interno dell’Università Centroamericana di San Salvador. Nei giorni scorsi, la Corte Costituzionale ha dato il via libera alla riapertura delle indagini sull’accaduto. “La verità è importante – afferma prudente padre Cardenal – e questo è un passo significativo per conoscere i responsabili, finora ne è stato trovato uno solo. Ma non vorrei che si trattasse di una decisione politica, credo sia bene aspettare”.

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