Braccianti stranieri: Medu, “piana di Gioia Tauro, i 2/3 esclusi da servizi sanitari durante la pandemia”

Solo un terzo dei braccianti che lavorano nella Piana di Gioia Tauro ha dichiarato di essere iscritto al Servizio sanitario nazionale e di avere un medico di medicina generale assegnato in Calabria o in altre regioni. Le patologie più diffuse tra i pazienti assistiti sono risultate essere – come in passato – quelle dell’apparato respiratorio (22%), dell’apparato osteo-articolare (19%), dell’apparato digerente (15%) e della cute (9%). La totalità dei pazienti proveniva dall’Africa sub sahariana occidentale, in particolare da Mali (49%), Senegal (12%), Ghana (9%) e Gambia (9%) e aveva un’età media di 30 anni. È questa la situazione medico-sanitaria dei circa 2.000 lavoratori stranieri assistiti dalla clinica mobile di Medici per i diritti umani, presentata nel VII Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro, diffuso oggi. “Il quadro riscontrato – si legge nel report – rispecchia le pessime condizioni igienico sanitarie, lavorative e abitative in cui è costretta a vivere la popolazione bracciantile: emarginazione sociale, stigmatizzazione, promiscuità abitativa, carenza di elettricità e servizi igienici, mancanza di acqua potabile e riscaldamento, condizioni lavorative disumane, alimentazione scorretta o insufficiente”. Medu ha inoltre osservato la “prassi illegittima per cui in molti casi, per il rinnovo e il rilascio del permesso di soggiorno, viene richiesta dalla Questura la certificazione di residenza, sebbene si tratti di un requisito non previsto dalla normativa vigente”. Non potendo ottenere un medico di base nella Piana, i braccianti “vivono una condizione di esclusione sanitaria”. Perciò anche se la medicina del territorio è centrale nel contenimento dell’epidemia, osservano, “il fatto che la grande maggioranza dei braccianti non avesse accesso né ad un medico di base né fosse stata raggiunta da iniziative di prevenzione da parte del servizio sanitario pubblico, ha favorito la diffusione di pregiudizi e di false credenze sulla malattia e sulla contagiosità del virus”.

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