Burkina Faso: le Ong, “grave crisi umanitaria, coinvolti due milioni di persone”

Il nord del Burkina Faso sta attraversando una grave crisi umanitaria, per lo più passata sotto silenzio. Lo denuncia l’Associazione Lvia- Servizio di Pace attiva nell’area di crisi insieme alle Ong italiane Aidos, Cisv, Progetto Mondo Mlal, Terre des Hommes, Reach Italia, We World-Gvc, alle Ong europee Irc e Ceas e alle associazioni locali Crus e Fngn.  Una situazione che coinvolge, secondo i dati Onu aggiornati a febbraio 2020, più di due milioni di persone nelle regioni settentrionali del Paese, molte delle quali donne e bambini. A febbraio 2020 il numero complessivo degli sfollati è di 765.500 persone, molti dei quali sono rifugiati presso familiari. Molto di quanto sta accadendo è determinato dalla forte insicurezza causata dalle continue incursioni dei gruppi armati radicali in questa area del Paese, tanto da portare alla chiusura dei centri sanitari e delle scuole. Si calcola che siano state chiuse 2.410 scuole e che siano 318.000 i bambini ed i giovani privati dell’istruzione scolastica. I centri sanitari chiusi o in funzionamento minimo sono 273, in un’area che già scarseggia di servizi di base. Sono 1,5 milioni le persone che dipendono dall’aiuto umanitario per l’accesso alle cure mediche ed ai servizi sanitari. “Un grande problema che porterà ad ulteriori conseguenze – spiega Alessandro Bobba, presidente di Lvia – è la frattura sociale che gli attacchi dei gruppi estremisti stanno provocando nella popolazione. Tutto questo accade in un Paese, il Burkina Faso, dove le diverse religioni ed etnie hanno sempre convissuto pacificamente”. A questo si aggiunge un rischio molto elevato di radicalizzazione violenta della popolazione, soprattutto dei più giovani che, in assenza di lavoro, rischiano di essere convinti ad arruolarsi nei gruppi armati. A questa crisi di sicurezza si aggiunge la grave siccità causata dall’impatto dei cambiamenti climatici, sempre più grave nell’Africa subsahariana, dove il fenomeno della desertificazione si amplia ogni anno di più. Per la popolazione di queste regioni, che nell’80% dei casi vive grazie all’agricoltura ed all’allevamento, questa situazione provoca povertà, insicurezza alimentare e malnutrizione, sia acuta che cronica, soprattutto nei bambini.

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