Pace: mons. Peña Parra, “siamo consci di essere dei seminatori, ma i risultati non dipendono tutti da noi”

Pace, discriminazioni, migranti e libertà religiosa: sono i temi trattati in un’intervista esclusiva a Interris.it dal sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticano, mons. Edgar Peña Parra. “Lo stato di salute della Chiesa potremmo definirlo ‘variato’. In Europa troviamo una Chiesa viva, ma ci sono anche tante difficoltà per il futuro: non mancano nuove forze e nuove vocazioni, ma diminuiscono; questo anche a causa dell’inverno demografico, come ha affermato Papa Francesco di recente. Inoltre, abbiamo una Chiesa altrettanto viva e bella anche fuori dell’Europa, come ad esempio quella che ho trovato a Timor Est, un’isola di un milione di abitanti. Nel seminario maggiore ci sono 300 studenti. Dobbiamo ricordare che la Chiesa è una, unica, siamo tutti fratelli, magari non siamo tutti nati nello stesso posto, ma nella Chiesa non ci sono stranieri e questo lo respiro in questa casa, dove trovo persone della Nigeria, dell’Est Europa, dell’Iraq. È questa la Chiesa di Gesù Cristo”.
A proposito della pace, dice: “Siamo consci di essere dei seminatori. Il card. Matteo Zuppi è andato in Ucraina a seminare il seme del bene e della pace. Con questo stesso sentimento andrà a Mosca a lottare per la pace. La Chiesa fa questo, ma i risultati non dipendono tutti da noi. Ma così fa il seminatore, lascia il seme e prega Dio affinché cresca e porti frutto. Speriamo di poter avere presto dei frutti di pace in Europa e nel mondo”. “Mi consola questa frase: ‘Per Dio niente è impossibile’ – aggiunge -. La guerra non scoppia solo per problemi di tipo geopolitico, ma anche per interessi economici – il Papa lo ha denunciato –,  traffico di armi e di persone. Dio fa la sua strada tramite tutti noi, gli uomini e le donne di buona volontà”.
Sui migranti: “È una sofferenza grande. Papa Francesco più volte ha dichiarato che il bellissimo Mar Mediterraneo si è trasformato in un cimitero e ha ragione. Non è giusto che ci siano queste tragedie, non è giusto che persone in cerca di una nuova vita si trovino poi abbandonate. Papa Francesco, durante l’Angelus, ha detto che la barca si trovava nel mare quieto, non è frutto solo di un disastro naturale. Dobbiamo pregare tanto e dobbiamo continuare a lottare con tutte le forze perché questo non accada più. Dobbiamo andare nei Paesi di origine e portare loro un po’ di benessere. Queste popolazioni fuggono in cerca di una vita migliore per poi, in molti casi, trovare la morte. Un invito sempre aperto ai governi, agli uomini e alle donne di buona volontà: dobbiamo migliorare la vita di queste persone nei loro Paesi, ma se migrano dobbiamo accoglierli. So che non è facile, è un tema molto complicato, ma credo che diversi Paesi, tra cui anche l’Italia, stanno cercando di fare un lavoro molto importante in questo senso”.
Nel mondo ci sono tanti cristiani perseguitati: “Io credo che noi cristiani abbiamo tanto da condividere nel mondo. Un modo per poter creare rispetto nei nostri confronti è proprio tramite la misericordia. Dobbiamo evitare di fare proselitismo e di trasmettere un’idea della Chiesa diversa da quella di Cristo: in questo modo la gente potrà percepire che siamo in quel Paese per fare del bene, per accompagnarli e proteggerli. Così ci sarà più convivenza tra le comunità”.

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