Diocesi: mons. Tisi (Trento), “ritroviamo parole che curano e usciamo dalle parole-sentenza”

foto SIR/Marco Calvarese

La storia di Helen, nigeriana approdata in Trentino dopo una drammatica esperienza migrante e qui diventata cristiana, apre la lettera dell’arcivescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, alla comunità in occasione della festa del patrono San Vigilio, dal titolo “Lievito e sale”. Mons. Tisi racconta anzitutto l‘emozione provata nel conferire il sacramento del Battesimo ad una donna simbolo di tanti “viaggiatori in fuga ai quali, dopo aver rubato i sogni, neghiamo un porto ove provare a ritrovarli. Senza però poter togliere loro la capacità di sperare, alla quale noi, per contro, abbiamo da tempo abdicato”.
Il presule invita a riscoprire e praticare la bellezza di “parole che curano” e ciò è possibile “solo se prima si è stati capaci di ascoltare”. Secondo mons. Tisi, “supini per ore su uno schermo, bombardati di ‘post’ e immagini, le parole altrui” rischiano di essere solo “una scontata colonna sonora delle nostre giornate”. “Ascoltare è fissare l’attenzione su un volto. Per interpretare anche i silenzi con cui ci parlano tante umanità ferite e in preda alla nostalgia della speranza”, annota l’arcivescovo.
Mons. Tisi attribuisce un ruolo chiave agli operatori della comunicazione, invitandoli a “non lasciarsi fagocitare dalla fretta produttiva. Ad avere attenzione ai volti e sentirsi parte delle storie” raccontate, sull’esempio di don Milani e del suo “I care”, “mi sta a cuore”.
Di fronte alle contraddizioni in cui l’umanità si dibatte, il presule denuncia una “perdita di credibilità dilagante che tocca ogni istituzione e ogni ambito sociale. Essere credibili è oggi la grande sfida che abbiamo tutti davanti”. E questo perché “abbiamo innescato una macchina capace di fagocitare l’umano, mettendo ai margini il valore intrinseco di ogni persona”, dentro un “sistema che genera ansia e disperazione e dal quale molti, comprensibilmente, provano drammaticamente a smarcarsi”. “Perseguiamo – è il monito – il confronto delle idee e usciamo dalle parole-sentenza, non facciamo volteggiare la clava del pregiudizio e della delegittimazione dell’altro”.
Per il credente il modello della credibilità è pienamente incarnato da Gesù di Nazareth. “Il Dio di Nazareth – scrive mons. Tisi – si fa povero di sé e non agisce in concorrenza all’uomo. Si fa umano perché l’uomo possa crescere”. Un modello di comportamento essenziale anche per la Chiesa, chiamata ad essere “lievito e sale”. “Questa – argomenta l’arcivescovo – è la vocazione della Chiesa: porsi in ascolto della vita e far parlare il reale, perché siamo emozione, vissuto, prima che idee”. Una Chiesa “non presuntuosamente arroccata nelle sue certezze, ma povera e serva. Chiamata a rifuggire l’autoritarismo, colpevole di spegnere la pazienza della tolleranza e la libertà del dialogo”.
Parola, Pane, Poveri: ecco le “tre parole-icone” o l’“unico algoritmo della nostra fede”, come lo definisce mons. Tisi, in contrasto alla diffidenza suscitata dalla “deriva digitale”. L’antidoto? Le pagine evangeliche e le storie che raccontano la bellezza dell’umano. Come il padre capace di donare al proprio figlio una parte del proprio polmone. “Questa – conclude il presule – è la credibilità dell’amore: dare respiro alla vita”.

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