Indi Gregory: Spagnolo (Gemelli), “trattamenti sproporzionati non sono buona pratica ma loro desistenza andrebbe decisa con i genitori”

(Foto FB/Dean Gregory)

“Nella cura dei pazienti più piccoli e fragili che non hanno la libertà di scegliere quale sia il meglio per loro dal punto di vista clinico-assistenziale, il valore più importante è la beneficialità degli interventi medici, che anche quando non possono guarire possono sempre curare, e la non maleficenza, cioè la necessità di non provocare ulteriore dolore e sofferenza anche per gli interventi assistenziali”, ma “la desistenza da trattamenti sproporzionati andrebbe decisa insieme con i genitori”. Lo dice al Sir Antonio G. Spagnolo, responsabile del Servizio di consulenza di etica clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma, interpellato sulla vicenda della piccola Indi Gregory. Per quanto riguarda il desiderio dei genitori di poter scegliere un’altra struttura dove cercare una terapia o una cura per la loro bambina, Spagnolo afferma: “Non conosciamo la reale situazione clinica di Indi ed il motivo per cui non si è ritenuto opportuno fare altro da parte dei medici inglesi, della cui integrità professionale non abbiamo motivo di dubitare”. Il neonatologo, spiega quindi l’esperto, “ha una posizione di garanzia nei confronti dei piccoli pazienti ed è il vero child advocate quando i genitori non mostrano ragionevolezza nelle loro richieste”. Insomma, “qualche volta i genitori possono essere emotivamente pressati dalla situazione clinica dei loro figli, ed è comprensibile, e vorrebbero fare tutto il possibile per loro”,  a volte però, ciò “corrisponde a fare interventi irragionevoli e sproporzionati che non sono più una buona pratica clinica e non rappresentano il bene del piccolo paziente”.
L’altro elemento di valutazione, prosegue Spagnolo, è il fatto che le decisioni siano state prese da un tribunale, “certo dopo che i medici avranno prospettato un percorso clinico che includeva la desistenza da un trattamento ritenuto non più proporzionato per la condizione life-limiting della bambina e proposto, ritengo, una confort care per accompagnarla verso la inevitabile conclusione della sua vita. Probabilmente questo percorso è stato deciso unilateralmente dai medici, senza il coinvolgimento dei genitori ed è questo che non ha funzionato, creando diffidenza e rabbia nei confronti dei medici prima e dei giudici dopo. La nostra esperienza di consulenza di etica clinica presso l’Unità di Terapia Intensiva neonatale del Gemelli – prosegue l’esperto – ci dice che è importante una pianificazione condivisa delle cure in cui i genitori siano coinvolti a pieno titolo e in prima persona, supportati dal punto di vista umano e spirituale, comprendendo che in presenza di determinate condizioni cliniche ogni altro trattamento rappresenterebbe una ulteriore sofferenza per il loro bambino/a”. A questo punto “si può decidere insieme di rimodulare i trattamenti e desistere da quelli che risultino sproporzionati e gravosi, mantenendo tutte le cure compassionevoli che eliminino ogni sofferenza e dolore dei piccoli pazienti e sostenendo i genitori nell’elaborazione del lutto”. Per Spagnolo, “i loro ringraziamenti a tutto il personale medico-infermieristico dopo la morte del figlio – e non la comprensibile rabbia del papà di Indi – rappresenta una conferma del ruolo che può avere la consulenza di etica clinica e la redazione di un documento condiviso di orientamento clinico-assistenziale, che rende inutile il ricorso ad un tribunale per affrontare situazioni che devono rimanere sempre nell’ambito di una buona relazione medico-bambino-genitore, eticamente condotta”.

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