Irlanda: vescovi chiedono di fermare il disegno di legge su suicidio assistito, “il valore di una persona non si misura con la sua aspettativa di vita”

“Qualunque sia la prognosi e per quanto limitata sia la nostra capacità, il nostro valore come persone è radicato in ciò che siamo piuttosto che nell’aspettativa di vita o nella nostra capacità di raggiungere determinati standard di prestazioni fisiche o mentali”. È questo il punto-chiave del “Parere” espresso oggi dai vescovi irlandesi all’Oireachtas Éireann, il Parlamento della Repubblica d’Irlanda, sulla legge “Dying with Dignity Bill 2020”. Il disegno di legge prevede che le persone con malattia terminale progressiva possano decidere i tempi della propria morte e avvalersi di assistenza medica per porre fine alla propria vita in circostanze controllate e monitorate. Prima di procedere con l’iter, la legge prevede che due medici verifichino la loro malattia. Nell’articolato “Parere” espresso oggi, i vescovi chiedono all’Oireachtas di valutare se su tutto il territorio nazionale “vi sia adeguate prestazioni di cure palliative e, in tal caso, se vi siano sufficienti energie investite per far conoscere la loro disponibilità e il loro scopo”, ma soprattutto chiedono di “non portare avanti questo disegno di legge”. I vescovi spiegano che il loro parere è “radicato nella convinzione che abbiamo la responsabilità morale di prenderci cura del nostro prossimo secondo l’immagine evangelica del Buon Samaritano”. I vescovi incoraggiano pertanto a promuovere le buone pratiche delle cure palliative che già esistono all’interno della legge e nella pratica medica e riescono ad offrire ai malati terminali la migliore possibilità di raggiungere “una fine della vita dignitosa e pacifica”. Questo disegno di legge invece prevede un’approvazione e un’agevolazione da parte dei medici al suicidio e “i legislatori devono riconoscere onestamente la differenza e chiamare le cose con il loro nome”. “Il suicidio assistito – scrivono i vescovi – riflette un fallimento della compassione da parte della società. È un fallimento nel rispondere alla sfida di prendersi cura dei malati terminali mentre si avvicinano alla fine della loro vita”.

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