Diritti umani: Amnesty chiede il rilascio “immediato e incondizionato” di tutti i prigionieri di coscienza

Amnesty international ha chiesto oggi il rilascio “immediato e incondizionato” di tutti i prigionieri di coscienza.  “In un momento nel quale il Covid-19 si sta diffondendo nel mondo, le prigioni sono luoghi ancora più pericolosi ed è più importante che mai che i governi proteggano i detenuti, anche attraverso il rilascio di coloro che sono in carcere solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti”, ha dichiarato Sauro Scarpelli, vicedirettore delle campagne di Amnesty International. “I prigionieri di coscienza – ha precisato – non hanno commesso alcun reato eppure continuano a restare dietro le sbarre in condizioni sempre più pericolose. Il sovraffollamento e la mancanza di servizi igienico-sanitari in molti centri di detenzione del mondo rende impossibile l’adozione di misure di protezione dalla pandemia, come la distanza fisica e il lavaggio regolare delle mani. L’ingiustificata detenzione mette queste persone ancora più in pericolo”. Amnesty International si concentrerà su 150 prigionieri di coscienza su un totale presumibilmente di migliaia di casi. Tra le storie emblematiche scelte da Amnesty International c’è quella di Rubén González, un sindacalista del Venezuela arrestato il 29 novembre 2018 dopo aver manifestato in modo pacifico per chiedere migliori condizioni di lavoro nell’azienda mineraria di stato in cui era assunto. González è stato processato da un tribunale militare e condannato a cinque anni e nove mesi di carcere per aggressione a un funzionario militare. Si è trattato di un processo politico in cui non è emersa alcuna credibile prova a suo carico. González soffre di ipertensione e insufficienza renale ed è dunque soggetto a rischio di contagio da Covid-19. E la storia di Nasrin Sotoudeh, avvocata dell’Iran arrestata il 13 giugno 2018, condannata a 38 anni e sei mesi di carcere e a 148 frustate al termine di due processi “gravemente irregolari”. Per il suo attivismo contro la pena di morte e soprattutto per essersi opposta alle leggi che obbligano a indossare il velo in pubblico, Sotoudeh è stata giudicata colpevole di “incitamento alla corruzione e alla prostituzione” e di “commissione volontaria di un atto peccaminoso” consistente nell’apparire in pubblico senza il velo.

 

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