Messale Romano per le diocesi dello Zaire: p. Silvestrini, “esempio di inculturazione liturgica”

“È opera della Chiesa locale intera, in comunione con la Chiesa universale”. Così padre Bruno Silvestrini, liturgista e custode del Sacrario apostolico, ha definito il Messale Romano per le diocesi dello Zaire, edito dalla Libreria editrice vaticana e presentato oggi in diretta streaming nella Sala Marconi di Palazzo Pio. Al centro del volume, diviso in cinque parti, la “ricchezza liturgica” del rito congolese, “come esempio di inculturazione liturgica già in atto da diverso tempo”. Invocazione degli antenati, ruolo dell’annunciatore, uso della danza e dei movimenti ritmici, uso di strumenti africani e ornamenti liturgici con motivi africani: sono questi, ha spiegato Silvestrini, alcuni elementi tipici della cultura africana presenti nella celebrazione eucaristica, il cui schema “non si discosta molto” da quella prevista dal Messale Romano. All’inizio della celebrazione, è prevista una litania di sei invocazioni “degli antenati retti di cuore assieme ai santi”, in modo da “stabilire la comunione tra la Chiesa terrena e la comunità celeste”. L’atto penitenziale segue l’omelia o il Credo, mentre il rito della pace segue l’atto penitenziale e precede la preghiera dei fedeli, come “espressione della pace ritrovata” e “conclusione del rito della riconciliazione prima dell’offerta del sacrificio eucaristico”. All’offertorio, “il pane e il vino sono presentati dal popolo con appropriate formule”, ha spiegato Silvestrini, rendendo noto che nel rito congolese “sono ammessi alcuni movimenti ritmici, specialmente per celebrante e ministranti “, che accompagnano il Canto del Gloria, ma anche la processione di inizio della messa e quella per portare i doni all’altare. Centrale, ha spiegato il liturgista, è inoltre “il ruolo dell’ annunciatore, che ricorda all’assemblea alcuni momenti della celebrazione”. Durante il Padre Nostro, “tutta l’assemblea alza le mani come il celebrante”, mentre prima di ogni lettura “lettore e lettrici si inchinano davanti al celebrante per avere la sua benedizione, come avviene nel Rito Ambrosiano”. Il Vangelo si ascolta stando seduti, “come ci si siede nei villaggi africani ascoltando il proprio capo”, ha commentato Silvestrini. La conclusione dell’omelia, infine, “avviene con una formula che richiede approvazione dell’assemblea”.

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