Terra Santa: Pizzaballa (patriarca), “vocazione di Gerusalemme è essere casa di preghiera per tutti i popoli, dove tutti sono ugualmente cittadini”

“Siamo una piccola rappresentanza, ma con noi c’è tutta la Chiesa: ci sono i cristiani delle diverse comunità della diocesi che non hanno potuto raggiungerci a causa delle attuali restrizioni, e ci sono i cristiani di tutto il mondo che, anche se non hanno potuto raggiungerci fisicamente, oggi sono pregano noi, con il cuore e la mente rivolti a Gerusalemme”. Con queste parole il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha salutato i partecipanti alla processione delle Palme che si è svolta ieri da Betfage a Gerusalemme. Processione che lo scorso anno non venne celebrata a causa del lockdown imposto dal Covid-19. “Seppure in forma ridotta – ha affermato – quest’anno, invece, siamo riusciti a celebrarla. Anche se pochi, la gioia e la determinazione ad acclamare Cristo come nostro Re e Signore è la stessa di sempre”. Durante il tragitto la processione ha fatto sosta al Dominus Flevit, sito sul monte degli Ulivi, da dove il patriarca ha benedetto la Città Santa con la reliquia della croce. Gesto poi ripetuto all’ingresso di Gerusalemme. “Preghiamo per Gerusalemme e benediciamola con il segno della redenzione! Fa parte della missione specifica della nostra Chiesa di Gerusalemme pregare per questa Città Santa e custodire la sua vocazione ad essere casa di preghiera per tutti i popoli, dove tutti sono ugualmente cittadini, e dove ogni credente trova in essa la propria casa”. “Noi Chiesa di Gerusalemme, amiamo questa città, nella quale affondano le radici della nostra identità cristiana. Essa – ha ribadito Pizzaballa – rappresenta per ciascuno di noi il desiderio di riconciliazione universale e di pace che Dio desidera per tutta la famiglia umana. E per questo vogliamo pregare e lavorare, perché questo desiderio e questa profezia si possano avverare. Le ferite e le divisioni che purtroppo ancora caratterizzano la vita di questa nostra città, non devono scoraggiarci. Al contrario, devono spingerci con sempre maggiore determinazione a testimoniare la fede nella vittoria di Cristo sulla morte, ad essere noi per primi, noi Chiesa, segno di unità e riconciliazione”. “Non dobbiamo dubitare di questo! Per chi ha fede, la croce non è segno di sconfitta e morte, ma di amore, di vita, di riconciliazione e di perdono. Per questo – ha concluso – benediciamo la città con la croce, perché possa essere sempre più segnata dall’amore di Cristo, e diventare luogo di incontro, di rispetto e di accettazione reciproca. Niente e nulla dunque ci spaventi, i continui ostacoli di ogni giorno non fermino la nostra carità, nessuno creda di spegnere la nostra gioia di credenti nel Cristo, figlio di Davide”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Italia