Pakistan: 10 anni da omicidio Shahbaz Bhatti. Il fratello Paul, “processo canonizzazione è fermo. Meno casi legge blasfemia”

Ha subito una battuta d’arresto il processo diocesano di beatificazione e canonizzazione di Shahbaz Bhatti, il ministro pakistano delle Minoranze religiose ucciso 10 anni fa, il 2 marzo 2011, a Islamabad da un gruppo di estremisti talebani. La causa era stata aperta dall’allora vescovo di Islamabad-Rawalpindi Anthony Rufin, morto nel 2016. “La causa è ferma da 5 anni perché l’iniziativa dovrebbe ripartire dalla diocesi e la pandemia certo non facilita”, dice al Sir il fratello Paul Bhatti, medico di base che vive tra Treviso e Islamabad: “Che mio fratello sia un martire non ci sono dubbi. Certo a me farebbe piacere che la causa proseguisse perché lo merita. Ma il suo valore, in ogni caso, non viene meno”. In Pakistan le ideologie e i radicalismi non sono ancora spariti, la legge sulla blasfemia non è stata ancora abolita, eppure Bhatti è fiducioso perché intravede dei cambiamenti nella società.  Riguardo alla legge sulla blasfemia, in vigore dal 1986, Bhatti registra una “effettiva diminuzione dei casi”. “Quando ero al governo – ricorda -, ogni mese c’erano violenze contro i cristiani. Ora molto meno e se ci sono si risolvono in maniera meno cruenta. Ci sono ancora casi di conversione a Karachi, ed è sempre un trauma vedere le persone maltrattate, ma già si intravedono elementi positivi”. “Ci vorrà tempo per cambiare l’opinione pubblica – afferma – ma prima o poi, sicuramente, anche la legge sulla blasfemia cambierà”. La legge, usata per vendette e ritorsioni, colpisce sia le minoranze religiose (i cristiani sono il 2% di 180 milioni di abitanti, il 95% sono musulmani, il restante 3% indù, buddisti o fedeli di altre religioni), sia i musulmani.

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