Giordania: “Appello internazionale” islamo-cristiano per la protezione delle comunità di preghiera e dei luoghi di culto

Gli attacchi sanguinari a luoghi di culto che ospitano comunità di fede raccolte in preghiera o mentre prendono parte ad atti rituali rappresentano “il vertice” di atrocità e violenze giustificate tirando in ballo argomenti “religiosi”. Di fronte al perpetuarsi di tali fenomeni, occorre favorire la creazione di una “rete globale” interreligiosa e inter-culturale, che operi a protezione dei siti di culto e di tutti i credenti che li frequentano, come contributo allo sviluppo di una “comune civiltà umana” alimentata dal riconoscimento e dalla condivisione di “valori umani comuni”. È il monito rilanciato dall’”Appello internazionale per la protezione dei Luoghi Santi” da tutte le violenze e i soprusi che colpiscono le diverse comunità oranti e adoranti. L’iniziativa, riferisce l’agenzia Fides, è promossa dal principe giordano Hassan Bin Talal, che presiede l’Arab Thought Forum e anche il Consiglio del Royal Institute for Religious Studies. All’appello hanno aderito più di 40 sostenitori musulmani e cristiani, compresi alti esponenti di comunità del Medio Oriente e rappresentanti di istituzioni accademiche, teologiche e culturali di diversi Paesi. Il testo si muove nell’orizzonte già delineato nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e da Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di al Azhar. In particolare, il nuovo appello insiste sulla necessità di favorire tra le diverse identità confessionali e culturali un dialogo che valorizzi la ragione umana e la condivisione di valori comuni. Gli attacchi perpetrati contro i luoghi di culto vengono collegati alle vicende che anche in tempi recenti hanno visto presi di mira siti di valore culturale, biblioteche e “altri centri rappresentativi della civiltà araba islamica”. I siti religiosi sono luoghi-simbolo “della nostra umanità, della nostra storia e delle tradizioni condivise delle persone in tutto il mondo”. E “senza la storia non possiamo sostenere il futuro. La storia e il suo patrimonio non sono altro che un pilastro del presente che cerchiamo di costruire”. Nei nostri tempi – rimarca l’appello promosso dal principe Bin Talal – l’incitamento all’odio e le contrapposizioni che giustificano lo spargimento di sangue continuano ad aumentare, “accompagnati dal ricorso all’abuso di religioni e credenze come pretesto per violenza, esclusione e discriminazione”. Vengono presi di mira anche “siti storici e archeologici e il patrimonio architettonico, inclusi musei, biblioteche e manoscritti”, con l’intento evidente di “cancellare la memoria che preserva le civiltà dei popoli e il loro nucleo di valore dall’estinzione”. A tale paura e rimozione della memoria storica dei popoli – sostiene l’appello – si può rispondere riconoscendo e promuovendo “il concetto di valori umani comuni” e sperimentando che “contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare, il concetto di ‘valori umani comuni’, nel suo senso più profondo, non indebolisce le specificità insite nelle diverse credenze religiose”, né “confligge con le identità culturali o nazionali”.
Nella lista di esponenti musulmani e cristiani che hanno sottoscritto l’appello del principe Hassan bin Talal figurano, tra gli altri, Ali Muhyiddin Al-Qura Daghi, segretario generale dell’Unione internazionale degli studiosi musulmani (Qatar); il professore turco Arshad Hormuzlu; il docente saudita Khalil al Khalil; Ahmed al Khamlichi, direttore della Fondazione marocchina Dar Al-Hadith al Hassaniya; la studiosa libanese Nayla Tabbara, co-fondatrice della Fondazione Adyan; l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Federazione delle organizzazioni islamiche italiane; Martino Diez, direttore della Fondazione internazionale Oasis; Atallah Hanna, arcivescovo greco ortodosso di Sebastia; il vescovo emerito Salim Sayegh, già vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini per la Giordania; il sacerdote giordano Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and media.

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