Formazione: Cagliari, ieri pomeriggio inaugurato l’anno accademico 2021-2022 della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna

È stato inaugurato ieri pomeriggio l’anno accademico 2021-2022 della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e degli Istituti superiori di scienze religiose di Cagliari e di Sassari/Tempio Ampurias Euromediterraneo a essa collegati. Dopo la concelebrazione eucaristica, che è stata presieduta da mons. Antonello Mura, vescovo di Nuoro e di Lanusei e gran cancelliere della Facoltà Teologica, nella chiesa “Cristo Re” a Cagliari, si è tenuta la cerimonia nell’aula magna della Facoltà con la prolusione del preside, padre Francesco Maceri, e la consegna dei diplomi accademici alla presenza di docenti, personale e studenti della Facoltà, oltre che di diverse autorità civili e militari.
Al centro della prolusione di quest’anno vi è stato il tema del rapporto tra “studio accademico” e “fede cristiana”. All’inizio del suo intervento, padre Maceri ha posto la domanda: “È possibile cercare e trovare Dio nello studio, nella ricerca e nella docenza? Si deve cercare e trovare Dio nella attività accademica?”. La domanda, ha subito precisato padre Maceri, non va intesa nel senso che lo studio può essere un “mezzo efficace” per l’azione apostolica e la pastorale quanto piuttosto che possa essere un “luogo” dove fare esperienza di Dio e, dunque, “un cammino impegnato, un esigente itinerarium mentis in Deum, fondato e vissuto sull’affettività spirituale, oltre che l’impegno intellettuale”.
“Questa stima per l’intelligenza umana”, ha proseguito il preside della Facoltà Teologica della Sardegna, “aiuta a non temere la verità, ma a essere fiduciosi che qualsiasi cammino compiuto con integrità conduce a un luogo di conoscenza”. “Come la preghiera”, ha continuato padre Maceri, “lo studio non esclude altre attività, bensì richiede che gli si dia il suo tempo, dedicandosi interamente a esso, escludendo interferenze e divagazioni. Soprattutto, ai nostri giorni, esige vigilanza e fermezza per non cedere all’abuso della ‘rete’ e darsi a una ‘navigazione’ che risulti tanto piacevole quanto dannosa a un fine intellettuale e, forse, anche morale e fisico”.
Perché l’attività accademica diventi un’esperienza spirituale, ha detto padre Maceri, è necessario superare la separazione tra il soggetto e l’oggetto della ricerca e trovare un’unione tra questi due elementi: “È necessario, perciò, appropriarsi consapevolmente e criticamente di quanto accade in se stessi durante lo svolgimento del lavoro intellettuale, riflettere su come venga vissuto, rispettando l’intreccio indissolubile tra il livello razionale e la dimensione affettiva”. Su questa base, ha concluso, occorre essere uniti e considerare il lavoro teologico come qualsiasi altra vocazione cristiana, che è “personale” ma è anche “comunitaria e collegiale”.

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