Cristiani perseguitati: Acs, su padre Maccalli “oblio quasi totale”. Appello al Governo per la sua liberazione

Padre Pierluigi Maccalli

A due anni dal sequestro del missionario italiano padre Pier Luigi Maccalli, Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) lancia un appello, dalle colonne del quotidiano “Avvenire”, indirizzato al Governo per un “rinnovato impegno per la liberazione”. Il missionario italiano della Società delle Missioni Africane fu rapito probabilmente da jihadisti la sera del 17 settembre 2018 nella sua parrocchia di Bomoanga, diocesi di Niamey, in Niger. Acs denuncia “il quasi totale oblio che vergognosamente circonda il sequestro di padre Maccalli” che, si legge nell’appello, “non deve essere considerato un cittadino-rapito di serie B per il solo fatto di essere un missionario cristiano che ha speso la vita per l’evangelizzazione in una nazione in cui dilaga la persecuzione”. Il rapimento del missionario “non è un evento isolato. I gruppi terroristici affiliati alla galassia islamista – spiega Acs – si stanno spostando dal Maghreb al Sahel. L’Isis sta infatti riducendo la sua attività in Libia e Algeria mentre la incrementa, fra l’altro, in Niger. In quest’ultima nazione, a partire dal 2017, anche Al-Qaeda ha aumentato la propria azione criminale. Nella parte sud-orientale del Paese si sono registrate anche frequenti incursioni di Boko Haram, in particolare ad opera della fazione denominata Islamic State West Africa Province. A ciò si aggiunga una situazione di diffusa povertà, che almeno in una certa misura può favorire il reclutamento di giovani da parte delle organizzazioni terroristiche. Nella nazione africana, composta per il 95,7% da musulmani, vi è inoltre un forte consenso sociale all’ipotesi di applicazione della sharia, la legge islamica. Per tutti questi motivi le piccole minoranze religiose, in particolare quella cristiana, sono particolarmente minacciate”. Acs, tuttavia, non si limita alla denuncia pubblica. “In Niger quest’anno Acs sostiene 104 fra sacerdoti diocesani, religiosi e religiose” dei quali la Fondazione non comunica la diocesi di appartenenza “per motivi di sicurezza”.

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