Comunicazione: mons. Pompili, “il giornalista si è trasformato da narratore a duplicatore”

“Senza una comunicazione credibile, rischiamo di essere consegnati mani e piedi ad una sorta di alluvione informativa che ieri era nelle mani dei potentati economici e politici e oggi del grande mondo tecnologico, che rischia di essere un soggetto senza testa, in un mondo che si è fatto complicato”. Lo ha detto mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti e presidente della Commissione nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, intervenendo alla tavola rotonda organizzata alla Pontificia Università della Santa Croce in occasione della quinta edizione del Premio “De Carli”, promosso dall’omonima associazione intitolata al vaticanista del Tg1 scomparso quasi dieci anni fa. “Le nuove tecnologie hanno completamente cambiato la mentalità del giornalista, che si è trasformato da narratore, che racconta i fatti concreti andando in giro, a duplicatore, le cui fonti sono disperse nell’etere, perché i nuovi dispositivi possono documentare tutto in tempo reale e il compito del giornalista è creare un set che faccia entrare nella notizia”. “Siamo specialisti dell’intrattenimento”, la tesi di Pompili. Tra i vincoli a cui è sottoposto il giornalista c’è “la pressione ideologica, che forza il singolo ad adeguarsi al mainstream, che lo costringe a sagomare il suo lavoro sulle tensioni compulsive del committente”. “Oggi non c’è più nessuna ideologia, se non quella di massimizzare i profitti. La pressione ideologica è la nuova ideologia”. C’è, poi, “la rarefazione della formazione personale, che rende più vulnerabili rispetto alla gestione di una mole immensa di dati senza la capacità di lettura e di tenere la schiena dritta, che non recede di fronte alle proprie convinzioni e sa accettare anche l’insuccesso immediato, pur di non farsi fagocitare”.

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