Adozioni internazionali: Aibi, “oggi diversi Paesi europei chiudono questa possibilità, ma sembra di andare in antitesi al principio cardine del maggior interesse del bambino”

Fino a qualche anno fa, quando si parlava di chiusura alle adozioni internazionali, ci si riferiva ai “Paesi di provenienza” dei bambini; ovvero a quei Paesi da cui generalmente i minori vengono adottati e che, per svariati motivi, decidevano di sospendere o chiudere definitivamente le procedure legate all’adozione internazionale, negando così a tanti minori l’ultima possibilità di poter crescere ed essere amati all’interno di una famiglia, anche se straniera. “Oggi – racconta l’Associazione Amici dei Bambini-Aibi -, ci troviamo di fronte a nuove chiusure, ma che riguardano i Paesi a noi vicini, Paesi europei che sono sempre stati quelli che i bambini li adottavano dall’estero e che nessuno immaginava sarebbero arrivati a prendere tale decisione. Le motivazioni che quasi tutti indicano riguardano irregolarità, pratiche poco trasparenti, documenti falsificati, traffici… Ma sempre risalenti ormai a decenni fa, prima della Convenzione de l’Aja”.
Tra i Paesi che hanno adottato questa scelta, l’Aibi nomina la Danimarca, i Paesi Bassi, il Belgio, la Norvegia. Ora, ultima in ordine di tempo, anche la Svizzera ha deciso di fermarsi, con la decisione del Dipartimento federale di giustizia e polizia di elaborare, entro il 2026, un progetto di legge per vietare le adozioni internazionali. Fortunatamente, davanti a questo scenario, commenta l’Aibi, “la società civile si è subito mobilitata, raccogliendo in breve tempo oltre 10mila firme per chiedere al Consiglio federale di ritirare la decisione del divieto di adozione internazionale. Le firme sono state presentate alla Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale, che ha accolto a larghissima maggioranza la mozione. Ora la palla passa al Parlamento, e se è vero che, in questo modo, uno spiraglio di speranza si apre, non si può non guardare comunque con grande preoccupazione a quanto accaduto”.
Di fronte a tutto questo, “la posizione dell’Italia pare diametralmente opposta, forte della scelta fatta, all’indomani dell’adesione alla Convenzione de l’Aja del 1993, di vietare le adozioni internazionali ‘fai da te’, obbligando gli aspiranti genitori a rivolgersi agli enti autorizzati, a loro volta controllati dalla Commissione per le adozioni internazionali. Il nostro è stato l’unico Paese ad avere intrapreso questa strada, seguita solo dalla Francia”.
Pur non giudicando “le scelte fatte dai singoli Paesi che hanno optato per la chiusura delle adozioni”, per l’Aibi “ritrovarsi nel 2025 a discutere se sia giusto e meno dare alle bambine e i bambini vittime di abbandono la possibilità di poter crescere in un ambiente sereno, all’interno di una famiglia, pare proprio in antitesi con il principio cardine finora mai messo in discussione: mettere il maggior interesse del bambino al centro! Scegliere la chiusura appare proprio come un voler sbattere la porta in faccia alle migliaia di bambine e bambini abbandonati che continuano a sperare di incontrare, un giorno, la loro famiglia”.

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