Alzheimer: Cattaneo (Fatebenefratelli Brescia), “manipolazione microbiota potrebbe contribuire a rallentamento malattia”

“La manipolazione del microbiota intestinale potrebbe potenzialmente contribuire, insieme alla concomitante assunzione di altre terapie farmacologiche, ad un rallentamento della malattia di Alzheimer”. Ne è convinta Annamaria Cattaneo, responsabile del Laboratorio di psichiatria biologica dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia.
In particolare, ha spiegato Cattaneo al recente convegno sull’Alzheimer che si è svolto a Brescia, il microbiota intestinale è coinvolto nella patogenesi della malattia e può rappresentare un importante target terapeutico: “Noi ed altri gruppi di ricerca abbiamo osservato la presenza di uno stato infiammatorio alterato in pazienti con malattia di Alzheimer. Ad esempio, in alcuni lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni abbiamo dimostrato che il microbiota intestinale contribuisce all’instaurarsi di tale stato infiammatorio ed anche ad una produzione alterata di alcuni metaboliti batterici che hanno un ruolo importante a carico della funzionalità del cervello”.
“Avere uno stato infiammatorio aumentato nell’intestino – spiega ancora Cattaneo – significa che alcune molecole e metaboliti batterici dall’intestino (anche componenti batteriche) possono passare in circolo e raggiungere il cervello, dove possono contribuire allo sviluppo di diverse malattie neurodegenerative tra cui la malattia di Alzheimer. Questo ha aperto la strada a percorsi di prevenzione, dove trattamenti specifici con effetto protettivo per il microbiota, come ad esempio la dieta, l’assunzione di probiotici, fino a menzionare l’alternativa terapeutica più complessa come il trapianto fecale, potrebbero essere efficaci in una fase molto precoce della malattia”. “Anche il nostro gruppo di ricerca – conclude – sta lavorando attivamente al fine di dimostrare che, manipolando la composizione del microbiota intestinale si riesce anche a modificare la biologia associata allo sviluppo della malattia di Alzheimer e quindi, agendo in fasi precoci di malattia, rallentarne anche la progressione”.

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